STORIA & STORIE....
sabato 31 maggio 2025
LA FUGA DA VIA STALINGRADO
martedì 8 ottobre 2024
LA DIASPORA - (Episodio N.1)
venerdì 4 agosto 2023
NON SARA' LA MORTE NERA
martedì 27 dicembre 2022
SULLE TRACCE DI ENZO E ADELASIA
Che tristezza qui al Castello di Burgos, mi cullo ormai nei rimpianti. Sono per tutti la Giudicessa di Torres. Ma in realtà sono l'ostaggio, di Michele Zanche, il mio terzo marito. Lui l'ex maniscalco, si è sostituito al mio grande amore. Enzo, il mio secondo marito, che però ben presto si stancò di me, abbandonandomi al mio destino, buttandomi tra le braccia di questo malefico zoppo. Enzo lo conobbi che era diciottenne. Alto, bello, dai lunghi capelli biondi e quegli occhi azzurri. Figlio naturale dell'imperatore Federico II e della sua concubina. In poco tempo avevo perso, padre e fratello. Pure mia madre dopo la morte di mio fratello era tornata a Karalis dalla sua famiglia di origine e non era più ritornata. Ero rimasta progressivamente sola, intorno a me si era fatto il vuoto. La mancanza di maschi appartenenti alla mia progenie, fece cadere su di me l'impegno di prendere le redini del Giudicato di Torres. Ma andiamo per ordine:
Tutto iniziò quando, Ubaldo, il mio primo marito era ancora accanto a me. Ma lo fu per poco, perchè una febbre improvvisa se lo porto' via. Il giorno che conobbi Enzo ero ad un bivio. Dovevo scegliere tra lui e Guelfo Porcari. Tra il giovanissimo figliastro dell'Imperatore ed il protetto di Papa Gregorio IX. Non ebbi il minimo dubbio, io a prima vista mi incapricciai del giovane nordico. Lui in quel frangente mi illudeva, scrivendo versi poetici, nonostante la differenza di età, io avevo gia' 31 anni, ben tredici più di lui, ma in quello stato di euforia non ci badai per nulla.
Ci sposammo, lui diceva di amarmi e mi possedeva con lussuria ed io ero al settimo cielo. Credevo di aver rafforzato il Giudicato, sposando il figliastro dell'imperatore. Il padre lo aveva pure nominato Re di Sardegna. Ma non tardò la reazione Papale. Subito ci scomunicò, accusando me, la vedova di Ubaldo Visconti, di aver rotto il patto che avevamo sottoscritto, anni prima alla morte di mio fratello. Certo, se Enzo mi fosse rimasto accanto, invece di ritornare in Continente, le cose non avrebbero preso, questa brutta piega. Lasciandomi in balia degli eventi, dopo pochi mesi dal matrimonio. Fu così che una bella sera al nostro Palazzo di Ardara, sede e centro nevralgico, del Giudicato, mi annunciò:
"Mia cara Adelasia, io presto sarò al comando delle truppe Ghibelline. Mio padre, attraverso l'aiuto di amici le sta costituendo. Lo scopo e' quello di unificare l'impero, riportandolo agli antichi fasti. Vedrai che Enzo il Re della Sardegna, poi ritornerà qui al Palazzo di Ardara e ti porterà in dono il resto d'Italia. Intanto per aiutarti al disbrigo delle faccende quotidiane, che non sono consone ad una femmina come te , ti presento il fido Michele Zanche". Subito, io pensai “Enzo tornera' presto” ed accettai di buon grado. In verità a me il Sassarese Zanche però non era mai piaciuto. Sin da giovane, si era però fatto la nomea di -abile tuttofare- e tutti lo temevano per il suo carattere ed il suo carisma. Mai un ex maniscalco, nell'Isola tale reputazione, si era costruito. Mi era quasi coetaneo e la prima volta che lo vidi era proprio un bambino. L'occasione fu durante la cerimonia delle mie prime nozze. Pure io ed Ubaldo Visconti, entrambi dodicenni, entrammo in pompa magna alla Santissima Trinità di Saccargia di Codrongianos. Lui, mi dissero poi il suo nomignolo, era uno dei due paggetti, che reggevano la lunga coda del mio candido abito di sposa fanciulla. Lo notai perché entrando nella basilica dal prato posto dinnanzi all'entrata, si attardava claudicante, rispetto all'altro compagno che sorreggeva la coda del mio vestito. Mi voltai di scatto, come per ammonirlo, ma lui mi fissò, con i suoi occhi nerissimi ed io immediatamente abbassai i mei, dimessa ed intimorita. Tanto che il padre Camaldolese concelebrante, mentre ci avviavamo verso l'altare, mi riprese, a sua volta: "Adelasia fidati, vedrai Micheddu (così appresi il suo nomignolo), ci mette il suo tempo, ma come dice il proverbio, chi va piano va sano e lontano". Chi lo aveva messo lì, non lo seppi mai, però ho sempre pensato, era un segno del destino. Del mio destino. Me lo ritrovai puntualmente, nel giro degli interessi di mio marito Ubaldo. Dopo la morte di mio padre, Mariano II di Torres, la successione toccò al mio giovanissimo fratello Barisone, allora undicenne. Per questo, fu messo sotto tutela dello zio Ithocorre. Ma in quel vuoto di potere, abilmente si inserì mio marito Ubaldo, spalleggiato tra gli altri dal sempre presente Micheddu. Che tutti ora chiamavano Michel Zanche, capopopolo ormai incontrastato di Tathari. Qui Zanche ergendosi a paladino dei Sassaresi, che colpiti a lor dire da pesanti prebende, si rivoltarono. Coltivò e crebbe definitivamente il mito della sua personalità. Al culmine della protesta tesa a creare -Il libero comune in Tathari- poi io non seppi mai il motivo dovette fuggire. Lasciò addirittura l'Isola, rifugiandosi in alta Italia. Mantenne però sempre vivi contatti con mio marito Ubaldo. Io non seppi mai dei loro interessi comuni, ma temevo per il mio giovanissimo fratello Barisone.
Tant'è che una sera a cena, mio marito Ubaldo, accennò a me e mia madre "Questi tumulti di Tathari, cominciano a destare molta preoccupazione. In noi si è fatta strada l'idea che tuo fratello ora che è stato nominato a capo del Giudicato, qui ad Ardara, corra seri pericoli. Ne ho parlato, oggi, con zio Ithocorre ed abbiamo concordato che sarebbe più sicuro per lui un trasferimento a Sorso. Là tutto è tranquillo, tu Adelasia che ne pensi?
Io non avevo nessuna idea in merito, ma volevo un gran bene, al mio fratellino. Pensai sinceramente, fosse per il suo bene futuro, tra l'altro Ubaldo mi confermò che la' presso i frati di S.Pantaleo, avrebbe completato la sua formazione. Quindi appoggiai completamente, la sua partenza per Sorso. Barisone partì ed io non lo rividi, mai più. Fu assassinato e fatto a pezzi. Mia madre, appresa la notizia, da quel giorno non fu più la stessa. "Io qui ad Ardara, non resisto più, domani parto per Karalis, approfitto della presenza di mio cugino, venuto per il funerale di Barisone".
Già, già tutti questi ricordi, si intrecciano, ma il dolore piu' grande che ancora mi tormenta e' il tradimento di Enzo. Dopo quella sera, piena di promesse, parti' e mi lascio' per sempre. Certo il suo ricordo me lo lasciò:
Elena; ed ora gia' tre anni erano trascorsi, dalla sua nascita. Cresceva ed era l'immagine di Enzo. I suoi occhi azzurri e le treccine bionde, ne erano la testimonianza. A lei piaceva verso il tramonto, affacciarsi alla finestra posteriore del Palazzo di Ardara. Li' si si godeva il calare del sole ed io la osservavo con tenerezza ed amore materno. La sua eterea immagine, contrastava, con la sottostante nera e severa facciata della cattedrale e laggiù il purpureo profilo dei monti lontani, verso l'orizzonte. Io ancora sognavo, che suo padre tornasse. Ma Enzo non tornava ed il mio cuore, ogni giorno che passava era sempre più turbato.Ed ora lo Zanche ci faceva visita, regolarmente. Il suo ruolo di Vicario, lui diceva gli imponeva di essere presente, per meglio coadiuvarmi negli affari del Giudicato. Lui stesso quel pomeriggio, vide la mia piccola in contemplazione del tramonto. Quasi distrattamente le si avvicino' e come se da lei fosse impietosito, lancio' il suo anatema nei confronti di Enzo.
-Che errore e che sottovalutazione feci il giorno che spinsi il bastardo ragazzino tedesco tra le braccia di tua madre.
Era pero' tanto e tale il mio risentimento che provavo in quel momento nei confronti di Enzo, che le parole di Michele, anziche' farmelo odiare mi confortarono. Lui era impudente e scaltro e mi capiva immediatamente. Forte del suo bluff, rincaro' la dose:
-La nostra giudicessa, tua madre e' una santa donna, la luce più splendente del Giudicato di Torres. Io mai mi sarei comportato come lui.
Fu cosi' che quella notte, io come sempre povera illusa e forse per rivalsa verso Enzo , gli cedetti e pure nelle notti che seguirono. Lui ormai si era preso tutto, il Giudicato ed anche il mio onore di donna maritata. Soltanto la mia anima, sempre piu' fragile e confusa, mi restava. Ma un'altra sorpresa mi colse in quel tempo travagliato; una nuova gravidanza.
Che fare?
Non mi restò che informare, lui Michele Zanche, il mio nuovo amante e curatore ormai incontrastato, dei miei interessi Giudicali. Sulle prime lo vidi per un attimo confuso e contrariato. Per tutti io ero, nonostante la sua partenza ed il mancato ritorno, la moglie di Re Enzo. Figlio illegittimo dell'imperatore Federico. Pero' da lui nominato ed innalzato a Re di tutta la Sardegna. Non passarono che pochi giorni. Michele di buon mattino venne a palazzo e con il cinismo e la faccia tosta di sempre, mi comunico':
"Mia cara Adelasia, ho molto riflettuto sulle vicende chi ci toccano entrambi. Tu sai che non verro' meno alle mie responsabilità. Perciò la cosa da fare ora, prima che la tua nuova gravidanza si manifesti in tutta la sua evidenza e' che tu lasci il Palazzo di Ardara.
- Per andare dove? Io azzardai.
- Visto che l'estate sta per arrivare, se ti trasferirai al castello di Burgos, nessuno avrà da ridire e tu potrai in tutta discrezione portare avanti la nuova maternità.
Vista la mia condizione, non potei che avallare la sua proposta, che per altro mi sembro' del tutto sensata. Mi avrebbe permesso di sottrarmi a tanti occhi indiscreti ed a altrettanti pettegolezzi.
In fretta e furia nei giorni successivi, io, Elena ed i domestici a noi più fedeli, partimmo per il Castello di Burgos. Lo Zanche, sarebbe invece rimasto ad Ardara, per il disbrigo degli affari correnti del Giudicato. Mi avrebbe raggiunto a Burgos di tanto in tanto, per non venir meno al patto segreto tra me e lui. Cosi' fu, arrivo' l'autunno e poi l'inverno che quell'anno fu particolarmente rigido. La foresta attorno al castello era completamente imbiancata, quando venne al mondo la mia seconda bambina. Una moretta con due occhi scuri come carboncini e la pelle olivastra. Un bel contrasto, del tutto evidente, rispetto ad Elena. Decidemmo io e Michele di chiamarla Agnete. Lui ora quasi tutte le settimane veniva da Ardara e saliva al castello di Burgos, osservava la nuova venuta e restava come in adorazione.
Era quasi primavera, quando spavaldo come sempre mi annuncio':
Adelasia, ti porto una grande notizia, non c'é più nulla da temere, nessuno da oggi in poi, ti potrà e ci potrà condannare per la venuta al mondo di Agnete.
Cos'era dunque successo, ad Enzo? Qual era il motivo che faceva sentire Michele, cosi' certo del fatto suo?
- Adelasia, come tu ben sai, molti fatti si son succeduti, a nostra insaputa, da che tuo marito e' partito.
Certo, l'eco delle sue gesta, arrivava sin qui. Già pochi mesi dopo la sua partenza, quel blocco navale da lui capeggiato all'Isola del Giglio, ai danni di Papa Gregorio IX, inasprì ulteriormente i rapporti già tesi tra il nostro Giudicato e la Santa Sede. Lui Enzo il braccio e suo Padre Federico II, il mandante. Con il ratto al Giglio degli alti prelati Francesi salpati da Genova in viaggio verso il Concilio Romano, sfidavano apertamente il potere Papale. I rapporti tra il Papa e l'imperatore si stavano facendo sempre più tesi. Entrambi capeggiavano una fazione Gregorio IX i Guelfi e l'imperatore Federico II di Svevia i Ghibellini. Entrambi si sentivano investiti direttamente dal Padre Eterno ed ognuno di loro voleva esserne il legittimo rappresentante terreno. Il loro confronto si trasferì ben presto anche sulla terra ferma, era un dualismo ed una rivalità senza quartiere. L'autorità imperiale sembrava inarrestabile e l'invasione di Roma imminente. Ma ancora una volta il fato ci mise lo zampino, inaspettatamente Gregorio IX fu colto da morte improvvisa e l'imperatore Federico in segno di pietà fermo' l'assedio Romano. Ora il giovane e smanioso Enzo si trasferì in alta Italia. Altre sfide, lo attendevano e lui non si tirava certo indietro. Qui conobbe nelle sue nuove scorribande, un valente condottiero e fedele amico di suo padre, Ezzellino Romano. Alla sua Corte, Enzo era ammirato dagli uomini, ma soprattutto dalle donne. Conobbe ben presto un nuovo amore Costanza, la splendida nipote del valente capitano di ventura. Fu un vero colpo di fulmine!!!
-Due giovani, fatti uno per l'altro.
Chioso' sarcastico Michele Zanche nel comunicarmi la novità.
Aggiunse poi:
Il loro matrimonio, sarà celebrato entro brevissimo termine.
Stavo sprofondando, ma con apparente calma lo ripresi:
-Ma come e' possibile tutto ciò!!!
-Semplice mia cara, il nuovo Papa, Innocenzo IV, vuole una tregua con Federico II di Svevia e scioglierà il tuo matrimonio con Enzo.
Ora realizzai prima che proseguisse, perché la nascita di Agnete, non costituiva, piu' alcun problema.
Ma Michele, ormai senza freni, avanzo' l'ulteriore proposta che naturalmente a me sembrò una vera imposizione:
- Nulla ormai potrà impedire, la nostra unione, di niente ci dovremo più vergognare, Agnete avrà la stessa dignità di Elena.
In effetti quest'uomo diabolico, sembrava avere perfettamente ragione. In un colpo solo, il Giudicato riacquistò la fiducia del Papato e la nuova nata non era più il frutto avvelenato del nostro peccato, ma la consacrazione della nostra unione ed il riavvicinamento al nuovo Papato Romano. Ma ciò che non compresi lì per lì, fu l'apparente indifferenza, mostrata da Enzo ed all'imperatore Federico, nei nostri confronti. Enzo per altro continuò a fregiarsi del titolo di Re di Sardegna, nelle sue nuove scorribande Padane. Lo avrei scoperto, molto più tardi il motivo, quando in catene, dopo la battaglia di Fossalta, paesino Modenese di confine, tra l'Impero e lo stato Pontificio. I Guelfi Bolognesi lo catturarono durante la battaglia e lo condussero prima nella torre di Anzola e poi fino in città a Piazza Maggiore e lì lo imprigionarono. Ancor oggi lì giace, ma in una condizione totalmente diversa dalla mia. Io sono vera prigioniera qui a Burgos, che certo pensavo di lasciare immediatamente dopo il mio terzo matrimonio. Ma Michele fu irremovibile:
- Adelasia, finalmente la nostra vicenda ha trovato con il matrimonio, la giusta conclusione. Ora per il bene del Giudicato, tu resterai qui al sicuro con le figlie. Io ad Ardara, potrò meglio fronteggiare le velleità dei Sassaresi, che in modo sempre più oltraggioso, rivendicano l'indipendenza del Comune. Quel Palazzo non è più sicuro, come lo fu nel passato, per una madre e due piccole.
Io piansi, certo ero colei che era stata investita, dopo la morte di mio fratello Barisone, a reggere le sorti familiari e quindi del Giudicato. Ma la completa solitudine nella quale ero relegata, qui a Burgos, mi impediva qualsiasi atto di governo. Inoltre la morte violenta di mio fratello per mano degli insorti cittadini di Tathari ed il conseguente abbandono di Enzo, non facevano che dare ragione allo strapotere dello Zanche, che ora aveva preso decisamente nelle sue mani non solo il mio destino, ma anche il Giudicato di Torres. Intanto Elena ed Agnete, crescevano come due vere sorelle, l'una per l'altra e pur nella loro diversità fisica erano ai miei occhi come una sinfonia, dolce e struggente. In quel tempo, il ricordo di Enzo, tendeva a svanire pur comprendendo che era stato lui, con la sua fugace apparsa il mio grande amore. Tuttavia il passare del tempo e ciò che mi veniva riferito di lui, me lo resero più sfumato e la sua figura era ora compensata dalle certezze che mi offriva Michele Zanche.
Finchè la verità mi aprì gli occhi, in tutta la sua crudezza. Contemporaneamente alla notizia, della prigionia Bolognese di Enzo, ricevetti una mattina una missiva personale. La fedele ancella me la consegnò dicendomi:
Un cavaliere l'ha portata personalmente, da parte di Adelaide Urslingen Marano.
Chi era dunque costei?
Era un plico assai spesso, se di corrispondenza si trattava, questa donna a me completamente sconosciuta aveva molte cose da riferirmi. Mi chiusi nello studiolo, comodamente seduta, tirai la cordicella, fissata dalla ceralacca ed un manoscritto di tutto rispetto si presentò pronto per la lettura. I convenevoli di rito, facevano capire immediatamente l'alto rango, di chi mi stava scrivendo. Li superai velocemente e andai subito alla ricerca di dettagli meno formali:
…...sono vostra coetanea e sinceramente nutro nei vostri confronti un sentimento di rispetto e solidarietà. Vi chiederete la ragione di questa mia, visto che mai ci siamo conosciute personalmente. Io sono colei che ha messo al mondo Enzo, la madre di cui so per certo lui non vi ha mai confidato il nome e tanto meno vi ha parlato dei suoi sentimenti nei miei confronti. Vi prego, non vi indignate, leggete l'intero contenuto, prima di giudicarmi........
Certo, ero indignata, ma era troppa la curiosità e non ebbi il minimo dubbio, proseguii la lettura:
…......Non avrete poi modo, di rispondermi, perchè quando leggerete queste parole, io non farò più parte, di questo mondo. Al pari vostro, anch'io sono vittima del sistema di potere costituito, che sovrasta entrambe. Inoltre io l'unico titolo che vanto è quello di concubina e di fatto il mio tempo si è compiuto. Al proposito, vi debbo alcuni passaggi, per meglio farvi comprendere, quanto ci accomuna. Scusate se la prendo da lontano, partendo dalla mia adolescenza. Ero come voi, una ragazzina di quattordici anni, quando avvenne la svolta della mia vita. Son certa che già, un primo filo sottile, ci possa accostare ed unire, voi in quel tempo stavate per conoscere il vostro futuro primo marito ed io conobbi addirittura l'imperatore Federico II. La differenza è che Ubaldo Visconti, diventò effettivamente vostro marito, mentre l'imperatore era già sposato ed io fui unicamente un suo capriccio, che non ebbe mai alcun riconoscimento. Certo lui arrivò a Spoleto in Estate al tempo della mietitura. Ospitato dalla mia famiglia Urslingen Marano, lontani parenti con discendenza Sveva. Si fermò proprio lì presso di noi in attesa essere ricevuto a Roma da Papa Gregorio IX. Una parentesi, ma complice la trebbiatura, fu improvvisata in suo onore una grande festa di sapore pagano. Io biondissima, dalle lunghe trecce intersecate dalle generose spighe dorate, feci gran colpo su di lui:
-Chi è la piccola Valchiria? Gridò l'imperatore.
-Adelaide, la mia secondogenita! Rispose raggiante mio padre.
Si sa poi come vanno le cose, io credo voi mi possiate capire bene. Non solo seguii Federico II a Roma, tenendomi a debita distanza, dagli incontri tra l'Imperatore ed il Papa, ma lo seguii nei mesi successivi fino ad Hagenau, lì dove aveva stabilito il suo quartier generale. Entrai in società, con il titolo di damigella di corte, i pettegoli scoprii poi malignarono “Anche la piccola Adelaide ora è parte integrante del suo harem”. Aveva messo a mia disposizione il casino di caccia nei pressi della Foresta sacra vicino al fiume e per questo sulle prime credetti di essere per lui, una donna speciale. A quel tempo, ci incontravamo un paio di volta la settimana, lì venne concepito Heinz, che entrambi chiamammo però sempre: Enzo. La ragione era così ci dicevamo, la nostra Italianità spiccata, di me avete già saputo dove ero nata e cresciuta e dell'Imperatore immagino conosciate attraverso i racconti di Enzo, lui ha sempre amato parlare di suo padre e del suo amore per la penisola.
Questa donna ha perfettamente ragione. Ricordo perfettamente, appena lo conobbi, Enzo oltre alle rime che declamava per conquistarmi metteva continuamente in evidenza aspetti e trascorsi Italiani della gioventù del padre e continuamente mi raccontava :
- Era nato per caso a Jesi, ma trascorse molti anni da ragazzo nelle scorribande nei vicoli e nei souk della Medina di Palermo, la città materna . Senza alcun segno dell’imperiale regalità, sgusciava dalla porta secondaria della reggia del Palazzo dei Normanni, per immettersi, da subito, per confondersi nel popolo minuto della capitale, nel sole del mediterraneo, nei profumi e nel vivere della gente variegata della città. Nelle vene di mio padre, pulsava il sangue impetuoso degli antichi normanni, errabondi, pirati ed avventurieri, malconiugati con quello gentile degli Altavilla. Diciassettenne, ripartì per la Germania. Tra i fitti boschi della Alsazia e le colline che dagli aspri monti dei Vosgi, dolcemente degradano verso il Reno, si acquartierò nella deliziosa Hagenau. Per cingere la corona imperiale, per convocare la dieta dei principi tedeschi, per affrontare e dirimere i problemi mitteleuropei; per ipotizzare una grande Europa, unita ma laica, sia pur nel rispetto della chiesa e delle altre confessioni religiose. E qui conobbe e perfezionò l’arte nella caccia agli orsi ed ai cinghiali, prima sconosciuti; si allontanò definitivamente dalla ressa dei mercati di Palermo, dalla pompa di Roma papalina. Si immerse nel profumo degli abeti e delle querce secolari dei boschi e nella tranquillità del castello immerso nella fitta vegetazione d’attorno, ma soprattutto nella atmosfera raccolta della ricca biblioteca.
Non divago oltre tra i miei ricordi e riprendo la lettura:
Certo il clima Alsaziano, soprattutto d'inverno, pesava ad entrambi ed io presto rimasi come vi ho già menzionato, incinta, lui al tempo era premuroso e mi consolava in quelle fredde giornate, fantasticando sul futuro della nuova creatura che sarebbe venuta alla luce:
-Lo sento, sarà maschio, nelle sue vene scorrerà sangue tedesco, ma nello stesso tempo crescerà con il nostro spirito Mediterraneo.
Così fu e lui continuò per molti anni, per una buona dozzina a frequentarmi assiduamente, mettendomi a disposizione mezzi non solo per il nostro sostentamento.
Ma mandò anche istitutori e maestri, che curarono la formazione dell'ormai adolescente Enzo. Era appena trascorsa la Pasqua e l'imperatore era da più di un mese che ormai non ci faceva visita, inoltre negli ultimi tempi, non era più assiduo come in precedenza. Noi lo accogliemmo come sempre e lui ci comunicò che a pranzo ci avrebbe dato “La per voi lieta novella”. Sentimmo che qualcosa di importante, ci attendeva e così fu. L'imperatore, non indugiò troppo:
-E' venuto il tempo, del distacco, tu Adelaide seguirai Enzo a Cremona, io tengo particolarmente che lui completi il suo percorso verso il sogno che sempre abbiamo nutrito per lui. Là troverete miei vecchi e nuovi amici, alcuni sono locali, ma altri vengono da tutta la penisola, anche loro tutti nutrono il sogno di una penisola di nuovo tutta unita, come al tempo di Roma imperiale ed Enzo tra qualche tempo dovrà rappresentare colui che potrà realizzare questo grande progetto. Detto fatto, partimmo per Cremona dopo pochi giorni, con la promessa che l'imperatore Federico, sarebbe venuto spesso ora che la città dopo la vittoria di Cortenova, era saldamente nelle mani imperiali. Arrivammo così in città e già si respirava quel clima di ostilità aperta, tra le fazioni imperiali, contrapposte a quelle Papaline. In questo contesto, crebbe Enzo quasi diciottenne, la sua esuberanza andava di pari passo, con gli studi e gli incontri che il padre aveva programmato per lui. Una sera si presentò a casa con un ospite, un uomo non troppo alto, dai capelli corvini ed occhi nerissimi, pure l'incarnato era scuro, notai immediatamente il suo incedere claudicante.
-Michele Zanche, al vostro servizio, madonna Adelaide. Irriverente e sicuro di sé venne al mio cospetto, costui che mi chiesi immediatamente chi fosse, per presentarsi in modo tanto spavaldo. La serata trascorse cenando in sua compagnia e tra una portata e l'altra, quest'uomo fu molto galante nei miei confronti. Io ne trassi, non ve lo nascondo un gran piacere, visto che l'uomo a cui avevo dedicato la mia vita, ormai si era completamente scordato di me. Enzo con la sua esuberanza, me lo magnificò, ulteriormente:
-E' uno dei nostri, laggiù in Sardegna, è l'ago della bilancia, pure l'imperatore mio padre, ha grande rispetto per lui. Recentemente, dopo le sommosse di Tathari e l'assassinio di Barisone III di Torres, si è allontanato dall'isola per venire proprio qui a Cremona e chiedere il nostro soccorso, per contrastare il disegno Papale, quello di far maritare la nuova Giudicessa Adelasia con il Pisano Guelfo Porcari.
Fu così, che per la prima volta, udii parlare di voi e delle sfortunate vicende che riguardarono la vostra famiglia che vi portarono alla reggenza del Giudicato di Torres. Ora attraverso la mediazione di quest'uomo, veniva proposto all'imperatore Federico, di intervenire in prima persona per fermare il disegno di Papa Gregorio IX.
Era ormai notte fonda, quando si spense l'ultima candela che avevo lì nello studiolo, alzai gli occhi dalla coinvolgente missiva ed esclamai:
-Michele, ancora lui, sempre lui!
Avrei voluto, continuare per tutta la notte, ma l'impegno dell'indomani mattina con le bambine, mi fece desistere dal proposito. Loro Elena ed Agnete, erano l'unico conforto e nonostante ciò ancora una volta avvertii, la mia impotenza, su quanto era successo attorno e sopra di me.
Ma ben presto ripresi la lettura ed appresi che Adelaide, era poi divenuta l'amante di Michele Zanche, ma non solo:
Seguii Enzo a Tathari, Michele Zanche, ci sistemò a Casa Defraia. Vi conosceste Enzo faceva la spola tra il vostro palazzo di Ardara ed il palazzo Sassarese. Come ben sapete lui rimaneva anche dopo il matrimonio, solo qualche giorno ad Ardara e poi ritornava qui.
Già era stato proprio come mi raccontò, Enzo fin dai primi tempi, era si carino e pieno di attenzione per me, ma non si tratteneva ad Ardara che qualche fuggevole momento. Michele invece dopo la scomparsa di mio fratello l'avevo proprio perso di vista, ma era lui il vero regista e sceneggiatore della mia vita e del Giudicato. Che fessa e nessuno da zio Ithocorre agli altri che fecero da tramite a questa messa in scena, profferì mai a me alcuna parola. Ora tutto mi fu chiaro, dopo due giorni, seppi che Adelaide, era morta suicida. Michele, ottenne la tanto desiderata bolla Papale, con il definitivo annullamento del mio matrimonio con Enzo. In pompa magna fu celebrato il mio terzo matrimonio, lui volle fortemente che ci sposassimo, la dove molti anni prima, mi aveva fulminato con quello sguardo, la Santissima Trinità di Saccargia. Seguirono i grandi festeggiamenti, al Palazzo di Ardara, lì rimasi con le mie figlie poco tempo. Le tenevo in braccio e le stringevo al petto, ammirando al tramonto il severo profilo della nera cattedrale ed il profilo di quei monti laggiù, dove Michele mi relegò, fino alla fine dei miei giorni.
Amore mio, ben ti voglio.
Secondo la liturgia popolare, questo bambino divenne poi il capostipite della famiglia più illustre di Bologna, I Bentivoglio, signori di Bologna dal 1401 al 1506.
Enzo continuò in quegli anni ed in quella Bologna, caratterizzata dal “Liber Paradisus” a poetare. Mantenendo ben stretto il titolo di Re di Sardegna fino alla morte.
Il suo vicario Michele Zanche, dopo il matrimonio con Adelasia, non fece passare molto tempo per mettere in atto il proprio disegno, rispedendola appunto a Burgos. Le tolse le due figlie, appena raggiunsero l'età da marito e per il crepacuore lei non superò quest'ultimo affronto. Ma pure il suo destino ne uscì segnato. Ad Agnete a cui Michele teneva particolarmente, appena fu dodicenne, ne favorì il matrimonio con un alto esponente della famiglia Doria. I Doria, da tempo avevano messo gli occhi sul Giudicato di Torres. Ed in un intrigo di palazzo lo fecero avvelenare e Branca Doria il mandante e marito di Agnete, gli succedette nel governo del Giudicato, sciogliendo Tathari, dal vincolo Giudicale. I Sassaresi costituirono così un libero Comune ed in breve tempo anche il Giudicato di Torres tramontò per sempre.
A Burgos Adelasia, morì infatti solo qualche anno dopo, le furono strappate le figlie e questo fu per lei, l'ultimo affronto. Nel frattempo Federico II di Svevia, padre di Enzo morì poco dopo il suo matrimonio con Michele Zanche. Enzo imprigionato a Bologna, non fu mai liberato dai Bolognesi, ma la sua prigionia fu dorata in quel Palazzo che ancor oggi porta il suo nome. Visse ancora molti anni dedicandosi, anima e corpo alle sue passioni, la poesia e le concubine. L'allora Palatium Novum, fu ampliato per ospitarlo, si narra che ebbe almeno tre figlie naturali da queste relazioni. Inoltre dalla relazione con tale Lucia di Viadagola, nacque un bambino al quale fu dato il nome di Bentivoglio, per le parole che Enzo ripeteva alla sua amata Lucia:
MONTE BIBELE
Dopo la loro scoperta, alla vista di quelle
tombe e del loro contenuto:
“Viene naturale pensare a matrimoni di alleanza tra persone
di rango e di opposti schieramenti per sancire il superamento e la fine di una
situazione di contrasti: una Etrusca che avrebbe sposato un capo Celta, qui
meglio conosciuti come Galli Boy”.
Già in quel tempo di trapasso, quelle orde arrivarono da nord
e seguendo la via maestra dei fiumi che scendevano tra quelle maestose montagne
dette Alpi ed arrivarono alla grande pianura alluvionale. Seguirono poi per un
tratto il fiume più largo che tagliava in due la pianura e con piccole
imbarcazioni impararono ad attraversarlo.
Qui tra gli acquitrini
invivibili pieni di insetti e zanzare, Synatos il loro Druido decise di
fermarsi sull’istmo circondato dalle acque che avevano appena raggiunto.
Volevano subito ripartire verso quelle montagne che il cielo terso fece loro
intravedere verso sud.
“Ci fermeremo qui per
questa notte, domani raggiungeremo e seguiremo il corso del fiume che
dopodomani ci porterà lassù verso quelle colline che più a destra culminano
verso quel Cimone”.
Synatos aveva una grande missione da compiere in nome del suo
defunto padre.
Alcuni dei suoi i più anziani con il padre Synoircs avevano
già percorso questa via in scorrerie precedenti. Dopo aver raggiunto i territori Etruschi, avevano
razziato qualcosa a quel popolo molto più evoluto. Erano però sempre stato
respinti, ma non perdevano occasione per spingersi nei loro territori e tentare
nuove incursioni.
Però la vicenda legata a Camara aveva cambiato il destino dei
due popoli.
Già Camara la bellissima discendente di Felsina , era
adolescente in fiore, una folta e ondulata capigliatura color grano maturo. Fin
da bambina era stata promessa a Ortagion, attempato e potente capo Etrusco
della vicina Kainua. Lei di solito solare e piena di vita, era ora molto
triste. Era il giorno che la colonna composta da pochi uomini Etruschi di
scorta, la portava definitivamente da
lui.
L’imboscata fu
fulminea Synoircs, il padre di Synatos, a capo di un manipolo di uomini
massacrò la scorta di Camara e urlò ai suoi “ la voglio
viva”. La prese per il braccio destro all’altezza del gomito e l’attrasse a sé
guardandola intensamente, poiché non potevano intendersi a parole.
Gli
uomini razziarono ciò che poterono, in particolare due otri che contenevano una
sostanza liquida a loro completamente sconosciuta. Era vino che consumarono
tutti tranne Synoircs, la sera stessa. Si addormentarono come sassi, per
fortuna lui vegliò sulla bellissima prigioniera. La mattina si svegliarono
molto impastati magnificando al loro Druido la sostanza. In particolare Sarnas
il suo braccio destro “è una vera pozione magica, devo capire cos’è e come la
fanno” ed aggiunse a Synoircs “lei ci dovrà spiegare”. Pronta fu la risposta di
Synoircs “Sarnas, abbi pazienza ora la ragazza dovrà avere almeno il tempo di
capirci, per ora di lei mi occupo io, ci sarà tempo per questo”.
Decisero
poi di ricongiungersi al resto della spedizione e ritornare ai loro monti, al
di là del grande fiume.
Camara
non capì bene cosa si stessero dicendo i due uomini, ma ora il cuore cominciò a
battere più lentamente, si rilassò. Dopo quello che a lei sembrò un lungo
viaggio lungo il corso di quei fiumi, salirono su un grande altipiano verde. Il
verde dei prati rasati dai molti animali al pascolo si stagliava su alte cime
di roccia che verso sera prendevano con gli ultimi raggi del sole un aspetto
purpureo. Era un paesaggio molto diverso dalle sue colline, ma altrettanto
affascinante, anzi con lui vicino gli parse pure meglio. Lui la trattava con
rispetto e gentilezza, poi a differenza di Ortagion era giovane e bello. Non
passò molto tempo che Camara incominciò a comprendere il loro linguaggio. Lui
Synoircs la proteggeva, mentre Sarnas diventava ogni giorno più impaziente “E’
tempo che Camara, ci sveli il segreto della dolce ambrosia”. Synoircs finalmente si impegnò di farlo, e
lei gli comunico’ che tutto nasceva da una pianta chiamata vite che va
coltivata però seguendo determinate regole che lei non conosceva bene. Poi
quando il frutto chiamato uva giungeva a maturazione altre alchimie da lei pure
sconosciute occorreva mettere in atto per trasformare quei grappoli in vino.
Non passò molto tempo che il loro amore sbocciò completamente e decisero di
sposarsi seguendo il rito celtico.
Appena
Sarnas apprese da Synoircs le notizie che aspettava, decise di ripartire verso
l’Etruria. Con pochi uomini al seguito e con un Etrusco che fu catturato vivo
mentre con altri sei fu colto che saliva al loro altipiano. Cinque furono
eliminati all’istante, ma questo che conosceva la loro lingua fu risparmiato.
“Ci farà da salvacondotto”, raccontò lo stesso Sarnas a Synoircs.
Si
ripresentarono al cospetto di Synoircs, che erano trascorsi almeno sette otto
cambi di stagione. Synoircs, li aveva ormai dati per morti. Erano invece
tornati con molti orci di vino e dieci sacchi di giovani piantine “Pronte ad
essere sotterrate lungo le pendici, tra il fiume Adige e l’altopiano”, gli
comunicò soddisfatto ed orgoglioso, Sarnas. Li sarebbero cresciute e presto
anche loro ormai avrebbero prodotto il nettare di Bacco. Sarnas propose poi di
fare una grande festa e si complimentò con Synoircs per la nascita del piccolo
Synatos e concluse “questa volta spero non mancherai di bere con noi”. Synoircs
sorrise all’amico di sempre e disse “Stai tranquillo…questa volta mi lascerò
andare, ora non posso chiedere alla vita…niente di più”.
I giorni
successivi trascorsero sulle pendici dell’altopiano a piantare tutte quelle
giovani pianticelle, sicuramente ne sarebbe scaturito un ottimo vino. La sera
della grande festa Camara affidò il suo piccolo fanciullo, alla sorella del
marito Syrtis, che abitava ad una certa distanza dal villaggio. Sarebbero
passati a prenderlo un paio di giorni dopo. Le libagioni erano abbondanti gli
uomini avevano preparato fin dal mattino i bracieri ed il vino scorreva in
grande quantità.
Synoircs
era talmente ubriaco che neppure se ne accorse quando Sarnas gli tagliò la gola
con mossa fulminea.
Intanto
un suo uomo con due compari entrò nella sua capanna e immobilizzò Camara e
cercarono inutilmente Synatos. Camara completamente imbavagliata fu
immediatamente portata via e riconobbe l’Etrusco catturato prima dell’ultimo
viaggio in Etruria di Sarnas. Partirono immediatamente e l’indomani Sarnas li
raggiunse.
L’Etrusco
parlò a Camara :
“io sono
qua per riportarti a chi eri stata promessa, grazie a Sarnas che si è
dimostrato un ottimo amico il patto stipulato con il nostro Re Ortagion potrà
essere onorato”.
Lei si
sentiva morire, ma non volle dare loro soddisfazione, le avevano tolto il
bavaglio, ma non profferì parola.
“Synoircs,
ti ha offesa e per questo ha pagato il prezzo dovuto, ora nulla ostacola
l’amicizia tra i nostri due popoli”.
L’Etrusco
disse infine”Re Ortagion ti aspetta a braccia aperte, riguardo a quel bastardo
di Synatos, non lo abbiamo ancora trovato ma dimenticalo è stato per te solo un
incidente”.
Intanto
Syrtis fece in tempo a fuggire aiutata dal marito che apparteneva ad un’altra
tribù portarono Synatos con loro al villaggio del suo uomo. Ma tornarono presto
all'altopiano sull'Adige. Gli amici di Synoircs ebbero presto la meglio sui
compari di Sarnas rimasti a vigilare in attesa del suo ritorno.
Il
bambino sarebbe stato educato come il futuro druido della tribù dei Galli Boy
ed avrebbe preso a tempo debito il ruolo occupato dal padre barbaramente
trucidato.
Intanto
Camara fu riportata là dove doveva andare quel giorno che fu rapita. Al suo
arrivo a Kainua fu accolta da Ortagion come se nulla fosse successo “Mia cara,
finalmente ti rivedo, sai sono stato in pena per tutto questo tempo”. Lei aveva
lo sguardo perso verso il fiume che placido scorreva là sotto il prato che si
perdeva verso le dolci colline. Lei la principessa di Monte Bibele avrebbe
potuto dirgli in faccia “Ti odio, mi hai sempre fatto schifo, non mi avrai mai,
ho amato solo Sinoircs”. Ma ora capì era meglio prendere tempo e nonostante
tutto il dolore che aveva accumulato dentro. “ Sono stati anni difficili, il rapimento
e la violenza subita mi hanno segnata dentro, ora ho bisogno di riprendermi un
po’”.
Lui era
cinico ed esperto, si mostrò paziente “certo, mia cara comprendo, tu ora qui
sei a casa tua al sicuro, oggi stesso ti prometto avrai la tua rivalsa…”. Non
capiva cosa egli intendesse dire. Ma poco dopo venne da lui accompagnata verso
la parte più bassa dell’insediamento, comprese vedendo quei grandi massi di
selenite, che si dirigevano verso la necropoli. Contemporaneamente udì le urla
strazianti di un uomo e subito ne riconobbe la voce era Sarnas. Si avvicinarono
e lui senza alcuna emozione anzi compiaciuto ordinò “tagliategli la testa”.
“Ecco ora
anche l’ultimo legame con questi barbari che ti hanno offesa è reciso”. Lui era
convinto di avere cancellato con quell’atto tutto il suo passato, ma non era
così. Alcuni giorni dopo la raggiunse a Kainua il fratello Cadmo proveniva da
Monte Bibele e le portava notizie dal suo villaggio natale. I due si
abbracciarono dopo tutto quel tempo, lui era il fratello minore,
lo aveva
lasciato adolescente ora era un uomo. Furono finalmente lasciati soli e lui
sottovoce le disse” Camara, molte cose sono cambiate da quando tu ci hai
lasciati. Nostro padre non c’è più, a mamma hanno imposto un altro marito, il
cognato di Ortagion anche lui rimasto vedovo nel frattempo. Il legame della nostra comunità con Kainua si è
fatto sempre più stretto, molti di noi giovani di Monte Bibele si sentono a
disagio in questa sgradevole situazione. Aggiunse poi “parlami di te piuttosto,
a noi è giunta voce da un guerriero barbaro catturato nei pressi di Monte
Bibele, che tu fossi felice e addirittura ti fossi maritata con l’uomo che ti
rapì”. “E’ vero, quell’uomo vi ha detto la sacrosanta verità, io ho amato
Synoircs, da lui ho avuto ho avuto un figlio, egli si chiama Synatos. Il marito
me lo hanno ammazzato davanti ai miei occhi, dei bastardi infedeli su mandato
di Ortagion. Appena sono giunta qui Ortagion ha fatto tagliare la testa a colui
che ha capeggiato l’operazione per dimostrarmi che lui non c’entrava e per
farmi avere sempre secondo lui la giusta vendetta. Ma io non me la sono bevuta.
Riguardo a mio figlio per fortuna lo avevo affidato alla sorella di Synoircs
qualche giorno prima del suo omicidio, la quale spero sia riuscita a metterlo
al sicuro lei viveva presso un’altra comunità assieme al suo compagno. Di lui
ora non so assolutamente nulla. Per cui ti prego se avrai modo ora che sai
manda tuoi emissari presso la comunità dove vive mia cognata Syrtis in cerca di
Synatos. Io cercherò per ora di assecondare Ortagion, quando avrò di nuovo tue
notizie, valuteremo il da farsi”. Cadmo promise a Camara che avrebbe fatto
quanto ella richiedeva e ripartì per Monte Bibele il giorno stesso.
Di lì a
poco però Ortagion, si mostrò impaziente voleva impalmare Camara, il desiderio
di possedere il suo corpo era irrefrenabile, lei da un lato lo illudeva, ma
cercava di prendere altro tempo. Intanto Cadmo era sulle tracce di Synatos ed
ebbe presto la certezza che i galli Boy volevano la testa di Ortagion e
ricordavano Camara come la loro regina.
Nacque
così una grande alleanza tra gli uomini di Monte Bibele e questi Galli Boy,
considerati fino allora acerrimi nemici. Ma Cadmo non riuscì ad ottenere un
appoggio immediato, lui stesso valutò pericoloso per la stessa incolumità di
Camara un intervento troppo frettoloso contro la consorella comunità di Kainua.
Ma il
giorno tanto temuto arrivò, la cerimonia fu celebrata, al culmine della festa
Camara offrì il calice a Ortagion il quale non esitò lo incrociò con il suo
bevve ed esclamò “Oh, è arrivato il gran giorno mia….”. Non fece in tempo a
terminare la frase che cominciò a contorcersi e cadde insieme a lei che con un
filo di voce gli disse “…già è arrivato ma….l’unica soddisfazione che ti
toglierai..sarà quella di crepare…assieme a me..”. Lei aveva versato un attimo
prima il veleno contenuto nell’anello che ancora appariva con la coroncina a
coperchio aperta, dall’anulare della mano sinistra.
Synatos
rivive così… raccontando ai giovani compagni la storia della madre Camara e del
padre Synoircs. “Ecco ora sapete come andarono le cose, ma noi siamo qui perché
crediamo in un futuro migliore, dopodomani a Monte Bibele le spoglie mortali di
mio padre si uniranno per sempre a quelle di mamma”.
lunedì 26 dicembre 2022
NASCITA DI BOLOGNA TRA MITO E REALTA’
Fero, la compagna Aposa e la loro
piccola Felsina, scendono dalla collina, lungo il torrente. E’ una stupenda
mattina di sole, la stagione estiva sta per finire. Fero e Aposa, si guardano
complici. La loro mente ed i loro corpi, ancora frementi, per il caldo
risveglio. Mentre camminano, ricordano con nostalgia, la partenza ed il
distacco dal loro paese natale, là sulle coste orientali del Mediterraneo. Il
saluto straziante, dei loro cari, la nave Etrusca
che salpava. La prima notte con il mare
in burrasca, ancora Felsina non era nata, ma era già in grembo ad Aposa. La
burrasca durò diversi giorni ed Aposa in piena notte ebbe dolori fortissimi al
ventre, era quasi al termine della gravidanza. Quella notte, non ce la faceva
più ad un certo punto gridò “Fero, chiama la levatrice, credo che il momento
sia giunto”. Fero corse dal
capitano, lo trovò come sempre al
timone “comandante, Aposa è in preda alle doglie, io davvero non ho pratica in
materia, abbiamo bisogno della tua donna, che già in questi giorni, ha dato
buoni consigli”. Il comandante Isio, senza esitazione, chiamò il secondo al
timone e insieme svegliarono la donna. “Licena, sveglia”, sussurrò il
comandante Isio “il momento è giunto,
Aposa è in preda ai dolori del parto”.
La donna, senza esitazione in pochi istanti fu accanto ad Aposa. Non passò
molto tempo e Fero, che andava avanti e indietro per il ponte della nave, sentì
i vagiti del nuovo arrivato. A questo punto egli accorse e fu un po’ deluso,
quando seppe che era
femmina, in cuor suo pur non
confessandolo mai, egli sperava fosse maschio.
Il viaggio continuò ed il mare fu
ancora agitato per molto tempo. Ad un certo punto il comandante Isio, visto
l’andazzo e allarmato da un guasto alla vela anteriore, prese una decisione e
la comunicò a tutti. “Purtroppo siamo costretti a cambiare rotta, le condizioni
attuali del mare, non ci
permettono di raggiungere la Tuscia,
per la solita via, circumnavigando la Trinacria, ma risaliremo l’Illiria e
raggiungeremo Adria”. Precisò poi ”non siate delusi, sappiate che qui il nostro
popolo sta costruendo nuovi insediamenti, naturalmente chi vorrà raggiungere la
Tuscia, lo potrà fare anche
da lì”. Terminò poi dicendo “con queste
condizioni di mare, la vela in cattive condizioni, credetemi, io non posso che
prendere questa decisione”. Diversi furono i mugugni dei passeggeri, ma alla
fine tutti capirono ed il viaggio proseguì, nella direzione indicata dal
comandante.
Giunsero infine ad Adria, dopo una
breve sosta in Illiria per riparare la vela danneggiata. L’insediamento era
proiettato nel mare e allacciato alla terraferma da un lembo di terra. Davanti
a sé c’era l'isola di Loreo e di Ariano, era approdo naturale per chi risaliva
questo mare chiamato Adriatico, in onore proprio alla città di Adria. La
presenza Etrusca portò le prime bonifiche delle terre. Ciò comportò il fiorire
dell'agricoltura e lo sviluppo dei commerci. Il comandante Isio spiegò che da
qui avrebbero potuto raggiungere la Tuscia, via terra seguendo le vie di comunicazione
da poco aperte. Fero ed Aposa si fermarono qui per un po’ di tempo, Felsina era
troppo piccina per intraprendere il viaggio.
Ma ben presto iniziarono il cammino,
assieme ad alcuni compagni ed un commerciante di ambra di nome Aucnus,
attraversarono prima a bordo di alcune barche di piccola dimensione un largo
corso d’acqua. Raggiunsero poi l’insediamento di Spina in cui si stava
costruendo un nuovo porto che avrebbe evitato in futuro l’attraversamento da
parte dei viandanti di quel largo fiume e giorni di cammino. Anche qui
sostarono qualche tempo, finalmente Aucnus comunicò loro che l’indomani
sarebbero ripartiti. Così fu, dopo un breve tragitto tra valli e folte selve
raggiunsero un corso d’acqua molto più piccino rispetto a quello attraversato
in precedenza. Aucnus li avvertì che avrebbero seguito quel corso d’acqua fino
alla sorgente, attraverso la pianura sarebbero giunti presto in vista prima di
dolci colline, poi a monti sempre più alti che avrebbero valicato per giungere
infine alla Tuscia. In vista delle dolci colline Fero comunicò ad Aucnus, la
volontà di fermarsi qui con Aposa e la piccola Felsina. Ancora in pianura, quel
luogo gli apparve come magico, dalle colline scendevano rii e corsi d’acqua,
alcuni compagni decisero anch’essi di seguire Fero e fermarsi qui. Cominciarono
poi a costruire capanne per proteggersi dagli elementi, qui faceva molto caldo
in estate, ma il freddo era pungente nella stagione invernale. La famiglia
crebbe ed anche le abitazioni si moltiplicarono attorno al rio che avevano
scelto per vivere. Fero assieme agli altri uomini decisero così di unire le due
rive costruendo un bel ponte. Usarono dei grossi blocchi di arenaria che si trovava in grande quantità nel greto del
rio. Era il primo embrione della nuova città, al ponte fu dato il nome di Fero
in onore a colui che si era affermato come il leader di quel manipolo di uomini
e donne che con grande coraggio avevano deciso di insediarsi qui. Qui sostavano
tutti coloro che venivano da Adria o provenivano da nord per raggiungere la
Tuscia. Attorno al primo nucleo abitativo altre costruzioni furono erette e ben
presto Fero ed i suoi costruirono mura a difesa della nuova città. Verso le
numerose valli che da qui si dipartivano verso la Tuscia , partirono molti
giovani del villaggio creando altri insediamenti. Il più importante di questi
fu edificato sul piano di Misano e prese il nome di Kainua.
Ieri sul fare della sera Fero, Aposa e
la piccola Felsina, sono rientrati nella loro città dopo aver trascorso alcuni
giorni a Kainua, ospiti dell’intraprendente Acnos. Affacciata sul fiume chiamato Reno, che costituisce un formidabile
vettore di transito dalla Tuscia al grande fiume della bassa, Kainua ha
l'importante ruolo di cerniera di smistamento delle merci lungo tale asse. In
particolare il flusso di metalli dalla Tuscia sostanzia una vivace attività
metallurgica, sia per quanto riguarda il bronzo che il ferro. Cospicua è anche
la produzione ceramica, sia di stoviglie che laterizi, alimentata dalla buona
qualità dell'argilla locale e dalla ricchezza di acqua, imbrigliata con grande
maestria in un capillare sistema di captazione e relativo smaltimento. Il
giovane Acnos in pochi anni ha costruito tutto questo. Egli è però ancora
fedele e sinceramente attaccato a Fero, non dimentica quello che fece per il
padre nell’antica patria. Portandolo con
sé nella nuova avventura, salvandolo dal carcere e dal precipizio in cui era
caduto dopo aver capeggiato la fallita rivolta contro il sommo sacerdote Airtis.
“Sono stati quattro giorni meravigliosi”, commenta Fero. “Certo, quel magnifico
prato come un terrazzo circondato dalle colline, affacciato sullo scorrere
lento del fiume. La nostra Felsina rincorreva farfalle e lucertole…..e noi
caro….a fare all’amore, come due ragazzini “. Ma il momento magico ha un breve
durata. Nel primo pomeriggio Aposa, scende al rio attraversando il ponte di
arenaria che Fero e compagni hanno costruito, la cesta sottobraccio contiene
indumenti dei familiari che intende lavare presso “il salto della capra”. Giunta
alla cascatella, uno sbalzo così denominato perché gli agili animali superano
con un solo saltello. Appoggia la cesta sul grande masso levigato, ma nel
girarsi appoggia il piede sinistro sulla melma ancora fresca e cade a testa in
giù nella buca, battendo pesantemente il capo su un masso appuntito. Il suo
corpo privo di sensi viene trascinato velocemente a valle, dalla corrente.
Passano un paio di ore, a dare l’allarme è Marsica, una vecchia donna scesa a
pomeriggio già inoltrato al salto della capra, vede la cesta ed una macchia di
sangue appiccicata sul masso appuntito. La ricerca di Aposa prosegue fino a
tarda sera, ma il suo corpo non si tova e non si troverà. Perciò in ricordo di
lei, la comunità , decide di dare il suo nome a quel piccolo corso d’acqua. Altro
tempo trascorre Fero è sconsolato per la perdita della sua donna, ma si alza
con il fermo proposito di far prosperare questo luogo, ormai ha deciso di
fermarsi qui. Ogni giorno appena sveglio, scende alla cascatella fatale e prega
gli Dei e piange la sua amata. Ma poi rinfrancato, affronta la giornata
dedicandosi al rafforzamento della nuova città guidando la sua gente,
accogliendo i nuovi arrivati ed inserendoli nel contesto cittadino. Assieme ai
compagni con i quali è giunto qui ha progettato da tempo la costruzione di una
cerchia di mura che cingano la città. Difendendola dagli attacchi di orde
selvagge di uomini che vengono dalla pianura. Sono uomini selvaggi vestiti di
pelli rovesciate dal capello biondo o rossiccio. Da tempo immemorabile pare scendano
dalle grandi montagne che stanno oltre il grande fiume che taglia la bassa in
due. Hanno stabilito la loro base di partenza
su due isolette difese dall’acqua dal fiume che scende dal grande lago.
Fero ed i suoi sin dal loro arrivo sentirono parlare di queste genti nordiche
che il loro conterraneo Tarconte aveva combattuto presso quelle due isolette,
ma ne ebbe la peggio. Ritirandosi più a sud oltre il grande fiume soprannominò
quel luogo Mantus, divinità infernale del Pantheon Etrusco. Le nuove mura sono
solide e difendono ora la nuova città che sta diventando nodo strategico di
tutti i traffici tra la Tuscia ed Adria. Arriva una nuova estate Fero ed i suoi
continuano la loro opera. La canicola ha raggiunto il massimo e Fero sospende
nelle prime ore del pomeriggio la consueta attività per riprenderla più tardi,
quando la brezza scende lieve dalle colline. Riposa un oretta ed altrettanto fa
la figlia Felsina, dopo aver terminato le attività domestiche. Ella è ora una
bella giovinetta, piena di vita, a cui la vecchia Marsica dopo la scomparsa di
Aposa ha dedicato tutta se stessa. “Un segno divino….oh padre”, Felsina con la
caraffa dell’acqua fresca tra le mani
“Su dammi da bere…” sbotta Fero assetato come sempre al risveglio dalla
pennichella. La giovinetta impertinente, aveva assistito pochi giorni prima
alla festa del solstizio, Fero e gli altri anziani in modo animato discussero
sul nome da attribuire alla nuova città, ora che anche le mura erano terminate
ed essa si presentava solida e prosperosa. “Padre pazienta un attimo….un sogno
terribile….ti devo svelare…Tifone nel sonno mi è apparso”. Aveva membra smisurate, era metà uomo e metà bestia. Aveva
la testa d'asino, le ali da pipistrello ed era più alto della più alta montagna
del mondo. Con le mani riusciva ad acchiappare le stelle e con le gambe
riusciva ad attraversare il mare Egeo in 4 passi dalla penisola Ebea fino alle
spiagge di Troia. Sulle spalle aveva 100 serpenti che invece di sibilare, a
volte latravano come cani, a volte ruggivano come leoni. Ognuna delle gambe era
formata da due draghi attorcigliati, orribili a vedersi che facevano capolino
con le teste, da dietro le anche. La sua barba e i suoi capelli ondeggiavano al
vento e dagli occhi fuoriuscivano lingue di fuoco e lui sputava di continuo
massi incandescenti.
Egli mi
ha confidato” Fanciulla, tuo padre non potrà essere dissetato e la disgrazia
ricadrà su tutti voi, se la nuova città non porterà il tuo stesso nome”. Fero è
uomo forte e coraggioso, rispettoso delle divinità. Non esita un attimo, scende
immediatamente dal giaciglio per fortuna in mattinata si è riunito con i suoi
ed hanno aggiornato al pomeriggio il consiglio degli anziani. Con la gola secca
e Felsina al suo fianco raggiunge il luogo dell’adunanza, egli spiega ai molti
già presenti la situazione. Invita poi la figlia a prendere la parola per
aggiungere, quanto da lei ulteriormente appreso circa il sogno. Felsina appare
subito convincente “ho appreso da Tifone che Zeus fu aspramente redarguito dalla figlia Atena,
che gli ricordò come da lui dipendesse il destino dell'umanità. Le due divinità
assunsero così anch'esse proporzioni gigantesche ed affrontarono il mostro sul
monte Casio, ai confini dell'Egitto. Nel primo, durissimo scontro Atena fu
messa fuori combattimento in pochissimi istanti, ma subito dopo Zeus riuscì a
respingere Tifone con un potente fulmine e quindi ad abbatterlo a colpi di
falce. Quando però il re degli dèi si avvicinò per scagliare il colpo decisivo,
Tifone gli strappò l'arma dalle mani e lo ferì gravemente, imprigionandolo poi
in una caverna della Cilicia ……”. “Non
c’è bisogno di perdere altro tempo”. Interviene Atmos l’amico più fedele del
padre, “da giorni ci logoriamo su questa vicenda senza una decisione, questo è
il segno che aspettavamo”. E’ un boato, tutti sono convinti che la città d’ora
in poi si chiamerà Felsina. Fero finalmente….si disseta. L’avvenente fanciulla
divenne poi donna e madre stimata, fierissima e sempre memore di quel giorno…..indimenticabile.
domenica 25 dicembre 2022
IL PETTIROSSO E BABBO NATALE
Non c’era niente, solo neve e ghiaccio qui. L’anno scorso mi ero ritrovato in trappola al sole Africano, per Natale. Per questo ora ero salito fin qui. Nella natura selvaggia della Penisola Scandinava, era molto tempo che non riuscivo a sfuggire all’assenza di speranza.
Ora vidi Il vecchio seduto a terra, con la schiena contro un albero. L’albero era uguale a migliaia di altri che avevo già visto. Era un pino, non un abete. L’uomo teneva gli occhi chiusi e portava un cappotto rosso. Avrà avuto settant’anni, forse di più. La faccia, sopra la barba, era arrossata, segnata dalle intemperie. Per un momento pensai che fosse morto. Era immobile.
Improvvisamente volse lo sguardo, proprio verso di me:
- Ahh, sei qua, sei quasi puntuale.
Disse, in Inglese, con un accento impeccabile.
- già -Replicai con la solita apatia- Lui, si alzò faticosamente, puntando una mano a terra per fare leva.
Si sente bene, signore? - chiesi.
-Raramente- disse ed aggiunse: -Ma non smetto di sperare. E bisogna sempre sperare, no? A qualsiasi età.
Non avevo una risposta. Come facevi a sperare quando la cosa migliore di tutta la tua vita non c’era più?
Un passerotto infreddolito atterrò accanto allo scarpone sinistro del vecchio. Si guardò intorno, muovendosi a scatti come fanno tutti gli uccelli.
Il vecchio ora tese la mano e poi chiuse gli occhi.
-Spero proprio che questo uccello si posi sul mio dito!
E’ matto – pensai e cercai di farmi venire in mente una scusa per allontanarmi, balbettai:
-Ohh, sono davvero in ritar…
Ma in quel momento, l’uccellino volò sull’indice dell’uomo. Poi come se mi avesse letto nel pensiero, disse:
-Ricordi quando avevi nove anni, Francesco?
Francesco. Come faceva a sapere il mio nome?
-Ti ricordi quella casetta per gli uccelli che avevano i tuoi genitori? Ti ricordi che vedevi gli uccelli che arrivavano e non trovavano il mangime? Ti ricordi quella mattina di Natale, quando sei uscito a portare da mangiare agli uccelli prima ancora di aprire i regali? Ti sei messo le pantofole di tuo padre e sei uscito sul prato coperto di brina.
Il terrore, mi afferrò alla gola, la mia fronte era arroventata, mi girai e con tutte le forze rimaste mi diressi in albergo. Febbre altissima fino alla vigilia di Capodanno. Il dottore, al mio risveglio era lì al mio capezzale e lapidario sentenziò:
- Finalmente, voi Mediterranei, non siete abituati alle nostre latitudini.