lunedì 26 dicembre 2022

 

NASCITA DI BOLOGNA TRA MITO E REALTA’

 

Fero, la compagna Aposa e la loro piccola Felsina, scendono dalla collina, lungo il torrente. E’ una stupenda mattina di sole, la stagione estiva sta per finire. Fero e Aposa, si guardano complici. La loro mente ed i loro corpi, ancora frementi, per il caldo risveglio. Mentre camminano, ricordano con nostalgia, la partenza ed il distacco dal loro paese natale, là sulle coste orientali del Mediterraneo. Il saluto straziante, dei loro cari, la nave Etrusca

che salpava. La prima notte con il mare in burrasca, ancora Felsina non era nata, ma era già in grembo ad Aposa. La burrasca durò diversi giorni ed Aposa in piena notte ebbe dolori fortissimi al ventre, era quasi al termine della gravidanza. Quella notte, non ce la faceva più ad un certo punto gridò “Fero, chiama la levatrice, credo che il momento sia giunto”. Fero corse dal

capitano, lo trovò come sempre al timone “comandante, Aposa è in preda alle doglie, io davvero non ho pratica in materia, abbiamo bisogno della tua donna, che già in questi giorni, ha dato buoni consigli”. Il comandante Isio, senza esitazione, chiamò il secondo al timone e insieme svegliarono la donna. “Licena, sveglia”, sussurrò il comandante Isio “il momento è giunto,

Aposa è in preda ai dolori del parto”. La donna, senza esitazione in pochi istanti fu accanto ad Aposa. Non passò molto tempo e Fero, che andava avanti e indietro per il ponte della nave, sentì i vagiti del nuovo arrivato. A questo punto egli accorse e fu un po’ deluso, quando seppe che era

femmina, in cuor suo pur non confessandolo mai, egli sperava fosse maschio.

Il viaggio continuò ed il mare fu ancora agitato per molto tempo. Ad un certo punto il comandante Isio, visto l’andazzo e allarmato da un guasto alla vela anteriore, prese una decisione e la comunicò a tutti. “Purtroppo siamo costretti a cambiare rotta, le condizioni attuali del mare, non ci

permettono di raggiungere la Tuscia, per la solita via, circumnavigando la Trinacria, ma risaliremo l’Illiria e raggiungeremo Adria”. Precisò poi ”non siate delusi, sappiate che qui il nostro popolo sta costruendo nuovi insediamenti, naturalmente chi vorrà raggiungere la Tuscia, lo potrà fare anche

da lì”. Terminò poi dicendo “con queste condizioni di mare, la vela in cattive condizioni, credetemi, io non posso che prendere questa decisione”. Diversi furono i mugugni dei passeggeri, ma alla fine tutti capirono ed il viaggio proseguì, nella direzione indicata dal comandante.

Giunsero infine ad Adria, dopo una breve sosta in Illiria per riparare la vela danneggiata. L’insediamento era proiettato nel mare e allacciato alla terraferma da un lembo di terra. Davanti a sé c’era l'isola di Loreo e di Ariano, era approdo naturale per chi risaliva questo mare chiamato Adriatico, in onore proprio alla città di Adria. La presenza Etrusca portò le prime bonifiche delle terre. Ciò comportò il fiorire dell'agricoltura e lo sviluppo dei commerci. Il comandante Isio spiegò che da qui avrebbero potuto raggiungere la Tuscia, via terra seguendo le vie di comunicazione da poco aperte. Fero ed Aposa si fermarono qui per un po’ di tempo, Felsina era troppo piccina per intraprendere il viaggio.

Ma ben presto iniziarono il cammino, assieme ad alcuni compagni ed un commerciante di ambra di nome Aucnus, attraversarono prima a bordo di alcune barche di piccola dimensione un largo corso d’acqua. Raggiunsero poi l’insediamento di Spina in cui si stava costruendo un nuovo porto che avrebbe evitato in futuro l’attraversamento da parte dei viandanti di quel largo fiume e giorni di cammino. Anche qui sostarono qualche tempo, finalmente Aucnus comunicò loro che l’indomani sarebbero ripartiti. Così fu, dopo un breve tragitto tra valli e folte selve raggiunsero un corso d’acqua molto più piccino rispetto a quello attraversato in precedenza. Aucnus li avvertì che avrebbero seguito quel corso d’acqua fino alla sorgente, attraverso la pianura sarebbero giunti presto in vista prima di dolci colline, poi a monti sempre più alti che avrebbero valicato per giungere infine alla Tuscia. In vista delle dolci colline Fero comunicò ad Aucnus, la volontà di fermarsi qui con Aposa e la piccola Felsina. Ancora in pianura, quel luogo gli apparve come magico, dalle colline scendevano rii e corsi d’acqua, alcuni compagni decisero anch’essi di seguire Fero e fermarsi qui. Cominciarono poi a costruire capanne per proteggersi dagli elementi, qui faceva molto caldo in estate, ma il freddo era pungente nella stagione invernale. La famiglia crebbe ed anche le abitazioni si moltiplicarono attorno al rio che avevano scelto per vivere. Fero assieme agli altri uomini decisero così di unire le due rive costruendo un bel ponte. Usarono dei grossi blocchi di arenaria che  si trovava in grande quantità nel greto del rio. Era il primo embrione della nuova città, al ponte fu dato il nome di Fero in onore a colui che si era affermato come il leader di quel manipolo di uomini e donne che con grande coraggio avevano deciso di insediarsi qui. Qui sostavano tutti coloro che venivano da Adria o provenivano da nord per raggiungere la Tuscia. Attorno al primo nucleo abitativo altre costruzioni furono erette e ben presto Fero ed i suoi costruirono mura a difesa della nuova città. Verso le numerose valli che da qui si dipartivano verso la Tuscia , partirono molti giovani del villaggio creando altri insediamenti. Il più importante di questi fu edificato sul piano di Misano e prese il nome di Kainua.

Ieri sul fare della sera Fero, Aposa e la piccola Felsina, sono rientrati nella loro città dopo aver trascorso alcuni giorni a Kainua, ospiti dell’intraprendente Acnos. Affacciata sul fiume chiamato Reno, che costituisce un formidabile vettore di transito dalla Tuscia al grande fiume della bassa, Kainua ha l'importante ruolo di cerniera di smi­stamento delle merci lungo tale asse. In particola­re il flusso di metalli dalla Tuscia sostanzia una vivace attività metallurgica, sia per quanto riguarda il bronzo che il ferro. Cospicua è anche la produzione ceramica, sia di stoviglie che laterizi, alimentata dalla buona qua­lità dell'argilla locale e dalla ricchezza di acqua, imbrigliata con grande maestria in un capillare sistema di captazione e relativo smaltimento. Il giovane Acnos in pochi anni ha costruito tutto questo. Egli è però ancora fedele e sinceramente attaccato a Fero, non dimentica quello che fece per il padre nell’antica patria. Portandolo  con sé nella nuova avventura, salvandolo dal carcere e dal precipizio in cui era caduto dopo aver capeggiato la fallita rivolta contro il sommo sacerdote Airtis. “Sono stati quattro giorni meravigliosi”, commenta Fero. “Certo, quel magnifico prato come un terrazzo circondato dalle colline, affacciato sullo scorrere lento del fiume. La nostra Felsina rincorreva farfalle e lucertole…..e noi caro….a fare all’amore, come due ragazzini “. Ma il momento magico ha un breve durata. Nel primo pomeriggio Aposa, scende al rio attraversando il ponte di arenaria che Fero e compagni hanno costruito, la cesta sottobraccio contiene indumenti dei familiari che intende lavare presso “il salto della capra”. Giunta alla cascatella, uno sbalzo così denominato perché gli agili animali superano con un solo saltello. Appoggia la cesta sul grande masso levigato, ma nel girarsi appoggia il piede sinistro sulla melma ancora fresca e cade a testa in giù nella buca, battendo pesantemente il capo su un masso appuntito. Il suo corpo privo di sensi viene trascinato velocemente a valle, dalla corrente. Passano un paio di ore, a dare l’allarme è Marsica, una vecchia donna scesa a pomeriggio già inoltrato al salto della capra, vede la cesta ed una macchia di sangue appiccicata sul masso appuntito. La ricerca di Aposa prosegue fino a tarda sera, ma il suo corpo non si tova e non si troverà. Perciò in ricordo di lei, la comunità , decide di dare il suo nome a quel piccolo corso d’acqua. Altro tempo trascorre Fero è sconsolato per la perdita della sua donna, ma si alza con il fermo proposito di far prosperare questo luogo, ormai ha deciso di fermarsi qui. Ogni giorno appena sveglio, scende alla cascatella fatale e prega gli Dei e piange la sua amata. Ma poi rinfrancato, affronta la giornata dedicandosi al rafforzamento della nuova città guidando la sua gente, accogliendo i nuovi arrivati ed inserendoli nel contesto cittadino. Assieme ai compagni con i quali è giunto qui ha progettato da tempo la costruzione di una cerchia di mura che cingano la città. Difendendola dagli attacchi di orde selvagge di uomini che vengono dalla pianura. Sono uomini selvaggi vestiti di pelli rovesciate dal capello biondo o rossiccio. Da tempo immemorabile pare scendano dalle grandi montagne che stanno oltre il grande fiume che taglia la bassa in due. Hanno stabilito la loro base di partenza  su due isolette difese dall’acqua dal fiume che scende dal grande lago. Fero ed i suoi sin dal loro arrivo sentirono parlare di queste genti nordiche che il loro conterraneo Tarconte aveva combattuto presso quelle due isolette, ma ne ebbe la peggio. Ritirandosi più a sud oltre il grande fiume soprannominò quel luogo Mantus, divinità infernale del Pantheon Etrusco. Le nuove mura sono solide e difendono ora la nuova città che sta diventando nodo strategico di tutti i traffici tra la Tuscia ed Adria. Arriva una nuova estate Fero ed i suoi continuano la loro opera. La canicola ha raggiunto il massimo e Fero sospende nelle prime ore del pomeriggio la consueta attività per riprenderla più tardi, quando la brezza scende lieve dalle colline. Riposa un oretta ed altrettanto fa la figlia Felsina, dopo aver terminato le attività domestiche. Ella è ora una bella giovinetta, piena di vita, a cui la vecchia Marsica dopo la scomparsa di Aposa ha dedicato tutta se stessa. “Un segno divino….oh padre”, Felsina con la caraffa  dell’acqua fresca tra le mani “Su dammi da bere…” sbotta Fero assetato come sempre al risveglio dalla pennichella. La giovinetta impertinente, aveva assistito pochi giorni prima alla festa del solstizio, Fero e gli altri anziani in modo animato discussero sul nome da attribuire alla nuova città, ora che anche le mura erano terminate ed essa si presentava solida e prosperosa. “Padre pazienta un attimo….un sogno terribile….ti devo svelare…Tifone nel sonno mi è apparso”. Aveva membra smisurate, era metà uomo e metà bestia. Aveva la testa d'asino, le ali da pipistrello ed era più alto della più alta montagna del mondo. Con le mani riusciva ad acchiappare le stelle e con le gambe riusciva ad attraversare il mare Egeo in 4 passi dalla penisola Ebea fino alle spiagge di Troia. Sulle spalle aveva 100 serpenti che invece di sibilare, a volte latravano come cani, a volte ruggivano come leoni. Ognuna delle gambe era formata da due draghi attorcigliati, orribili a vedersi che facevano capolino con le teste, da dietro le anche. La sua barba e i suoi capelli ondeggiavano al vento e dagli occhi fuoriuscivano lingue di fuoco e lui sputava di continuo massi incandescenti.

Egli mi ha confidato” Fanciulla, tuo padre non potrà essere dissetato e la disgrazia ricadrà su tutti voi, se la nuova città non porterà il tuo stesso nome”. Fero è uomo forte e coraggioso, rispettoso delle divinità. Non esita un attimo, scende immediatamente dal giaciglio per fortuna in mattinata si è riunito con i suoi ed hanno aggiornato al pomeriggio il consiglio degli anziani. Con la gola secca e Felsina al suo fianco raggiunge il luogo dell’adunanza, egli spiega ai molti già presenti la situazione. Invita poi la figlia a prendere la parola per aggiungere, quanto da lei ulteriormente appreso circa il sogno. Felsina appare subito convincente “ho appreso da Tifone che Zeus fu aspramente redarguito dalla figlia Atena, che gli ricordò come da lui dipendesse il destino dell'umanità. Le due divinità assunsero così anch'esse proporzioni gigantesche ed affrontarono il mostro sul monte Casio, ai confini dell'Egitto. Nel primo, durissimo scontro Atena fu messa fuori combattimento in pochissimi istanti, ma subito dopo Zeus riuscì a respingere Tifone con un potente fulmine e quindi ad abbatterlo a colpi di falce. Quando però il re degli dèi si avvicinò per scagliare il colpo decisivo, Tifone gli strappò l'arma dalle mani e lo ferì gravemente, imprigionandolo poi in una caverna della Cilicia ……”.  “Non c’è bisogno di perdere altro tempo”. Interviene Atmos l’amico più fedele del padre, “da giorni ci logoriamo su questa vicenda senza una decisione, questo è il segno che aspettavamo”. E’ un boato, tutti sono convinti che la città d’ora in poi si chiamerà Felsina. Fero finalmente….si disseta. L’avvenente fanciulla divenne poi donna e madre stimata, fierissima e sempre memore di quel giorno…..indimenticabile.

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