NASCITA DI BOLOGNA TRA MITO E REALTA’
Fero, la compagna Aposa e la loro
piccola Felsina, scendono dalla collina, lungo il torrente. E’ una stupenda
mattina di sole, la stagione estiva sta per finire. Fero e Aposa, si guardano
complici. La loro mente ed i loro corpi, ancora frementi, per il caldo
risveglio. Mentre camminano, ricordano con nostalgia, la partenza ed il
distacco dal loro paese natale, là sulle coste orientali del Mediterraneo. Il
saluto straziante, dei loro cari, la nave Etrusca
che salpava. La prima notte con il mare
in burrasca, ancora Felsina non era nata, ma era già in grembo ad Aposa. La
burrasca durò diversi giorni ed Aposa in piena notte ebbe dolori fortissimi al
ventre, era quasi al termine della gravidanza. Quella notte, non ce la faceva
più ad un certo punto gridò “Fero, chiama la levatrice, credo che il momento
sia giunto”. Fero corse dal
capitano, lo trovò come sempre al
timone “comandante, Aposa è in preda alle doglie, io davvero non ho pratica in
materia, abbiamo bisogno della tua donna, che già in questi giorni, ha dato
buoni consigli”. Il comandante Isio, senza esitazione, chiamò il secondo al
timone e insieme svegliarono la donna. “Licena, sveglia”, sussurrò il
comandante Isio “il momento è giunto,
Aposa è in preda ai dolori del parto”.
La donna, senza esitazione in pochi istanti fu accanto ad Aposa. Non passò
molto tempo e Fero, che andava avanti e indietro per il ponte della nave, sentì
i vagiti del nuovo arrivato. A questo punto egli accorse e fu un po’ deluso,
quando seppe che era
femmina, in cuor suo pur non
confessandolo mai, egli sperava fosse maschio.
Il viaggio continuò ed il mare fu
ancora agitato per molto tempo. Ad un certo punto il comandante Isio, visto
l’andazzo e allarmato da un guasto alla vela anteriore, prese una decisione e
la comunicò a tutti. “Purtroppo siamo costretti a cambiare rotta, le condizioni
attuali del mare, non ci
permettono di raggiungere la Tuscia,
per la solita via, circumnavigando la Trinacria, ma risaliremo l’Illiria e
raggiungeremo Adria”. Precisò poi ”non siate delusi, sappiate che qui il nostro
popolo sta costruendo nuovi insediamenti, naturalmente chi vorrà raggiungere la
Tuscia, lo potrà fare anche
da lì”. Terminò poi dicendo “con queste
condizioni di mare, la vela in cattive condizioni, credetemi, io non posso che
prendere questa decisione”. Diversi furono i mugugni dei passeggeri, ma alla
fine tutti capirono ed il viaggio proseguì, nella direzione indicata dal
comandante.
Giunsero infine ad Adria, dopo una
breve sosta in Illiria per riparare la vela danneggiata. L’insediamento era
proiettato nel mare e allacciato alla terraferma da un lembo di terra. Davanti
a sé c’era l'isola di Loreo e di Ariano, era approdo naturale per chi risaliva
questo mare chiamato Adriatico, in onore proprio alla città di Adria. La
presenza Etrusca portò le prime bonifiche delle terre. Ciò comportò il fiorire
dell'agricoltura e lo sviluppo dei commerci. Il comandante Isio spiegò che da
qui avrebbero potuto raggiungere la Tuscia, via terra seguendo le vie di comunicazione
da poco aperte. Fero ed Aposa si fermarono qui per un po’ di tempo, Felsina era
troppo piccina per intraprendere il viaggio.
Ma ben presto iniziarono il cammino,
assieme ad alcuni compagni ed un commerciante di ambra di nome Aucnus,
attraversarono prima a bordo di alcune barche di piccola dimensione un largo
corso d’acqua. Raggiunsero poi l’insediamento di Spina in cui si stava
costruendo un nuovo porto che avrebbe evitato in futuro l’attraversamento da
parte dei viandanti di quel largo fiume e giorni di cammino. Anche qui
sostarono qualche tempo, finalmente Aucnus comunicò loro che l’indomani
sarebbero ripartiti. Così fu, dopo un breve tragitto tra valli e folte selve
raggiunsero un corso d’acqua molto più piccino rispetto a quello attraversato
in precedenza. Aucnus li avvertì che avrebbero seguito quel corso d’acqua fino
alla sorgente, attraverso la pianura sarebbero giunti presto in vista prima di
dolci colline, poi a monti sempre più alti che avrebbero valicato per giungere
infine alla Tuscia. In vista delle dolci colline Fero comunicò ad Aucnus, la
volontà di fermarsi qui con Aposa e la piccola Felsina. Ancora in pianura, quel
luogo gli apparve come magico, dalle colline scendevano rii e corsi d’acqua,
alcuni compagni decisero anch’essi di seguire Fero e fermarsi qui. Cominciarono
poi a costruire capanne per proteggersi dagli elementi, qui faceva molto caldo
in estate, ma il freddo era pungente nella stagione invernale. La famiglia
crebbe ed anche le abitazioni si moltiplicarono attorno al rio che avevano
scelto per vivere. Fero assieme agli altri uomini decisero così di unire le due
rive costruendo un bel ponte. Usarono dei grossi blocchi di arenaria che si trovava in grande quantità nel greto del
rio. Era il primo embrione della nuova città, al ponte fu dato il nome di Fero
in onore a colui che si era affermato come il leader di quel manipolo di uomini
e donne che con grande coraggio avevano deciso di insediarsi qui. Qui sostavano
tutti coloro che venivano da Adria o provenivano da nord per raggiungere la
Tuscia. Attorno al primo nucleo abitativo altre costruzioni furono erette e ben
presto Fero ed i suoi costruirono mura a difesa della nuova città. Verso le
numerose valli che da qui si dipartivano verso la Tuscia , partirono molti
giovani del villaggio creando altri insediamenti. Il più importante di questi
fu edificato sul piano di Misano e prese il nome di Kainua.
Ieri sul fare della sera Fero, Aposa e
la piccola Felsina, sono rientrati nella loro città dopo aver trascorso alcuni
giorni a Kainua, ospiti dell’intraprendente Acnos. Affacciata sul fiume chiamato Reno, che costituisce un formidabile
vettore di transito dalla Tuscia al grande fiume della bassa, Kainua ha
l'importante ruolo di cerniera di smistamento delle merci lungo tale asse. In
particolare il flusso di metalli dalla Tuscia sostanzia una vivace attività
metallurgica, sia per quanto riguarda il bronzo che il ferro. Cospicua è anche
la produzione ceramica, sia di stoviglie che laterizi, alimentata dalla buona
qualità dell'argilla locale e dalla ricchezza di acqua, imbrigliata con grande
maestria in un capillare sistema di captazione e relativo smaltimento. Il
giovane Acnos in pochi anni ha costruito tutto questo. Egli è però ancora
fedele e sinceramente attaccato a Fero, non dimentica quello che fece per il
padre nell’antica patria. Portandolo con
sé nella nuova avventura, salvandolo dal carcere e dal precipizio in cui era
caduto dopo aver capeggiato la fallita rivolta contro il sommo sacerdote Airtis.
“Sono stati quattro giorni meravigliosi”, commenta Fero. “Certo, quel magnifico
prato come un terrazzo circondato dalle colline, affacciato sullo scorrere
lento del fiume. La nostra Felsina rincorreva farfalle e lucertole…..e noi
caro….a fare all’amore, come due ragazzini “. Ma il momento magico ha un breve
durata. Nel primo pomeriggio Aposa, scende al rio attraversando il ponte di
arenaria che Fero e compagni hanno costruito, la cesta sottobraccio contiene
indumenti dei familiari che intende lavare presso “il salto della capra”. Giunta
alla cascatella, uno sbalzo così denominato perché gli agili animali superano
con un solo saltello. Appoggia la cesta sul grande masso levigato, ma nel
girarsi appoggia il piede sinistro sulla melma ancora fresca e cade a testa in
giù nella buca, battendo pesantemente il capo su un masso appuntito. Il suo
corpo privo di sensi viene trascinato velocemente a valle, dalla corrente.
Passano un paio di ore, a dare l’allarme è Marsica, una vecchia donna scesa a
pomeriggio già inoltrato al salto della capra, vede la cesta ed una macchia di
sangue appiccicata sul masso appuntito. La ricerca di Aposa prosegue fino a
tarda sera, ma il suo corpo non si tova e non si troverà. Perciò in ricordo di
lei, la comunità , decide di dare il suo nome a quel piccolo corso d’acqua. Altro
tempo trascorre Fero è sconsolato per la perdita della sua donna, ma si alza
con il fermo proposito di far prosperare questo luogo, ormai ha deciso di
fermarsi qui. Ogni giorno appena sveglio, scende alla cascatella fatale e prega
gli Dei e piange la sua amata. Ma poi rinfrancato, affronta la giornata
dedicandosi al rafforzamento della nuova città guidando la sua gente,
accogliendo i nuovi arrivati ed inserendoli nel contesto cittadino. Assieme ai
compagni con i quali è giunto qui ha progettato da tempo la costruzione di una
cerchia di mura che cingano la città. Difendendola dagli attacchi di orde
selvagge di uomini che vengono dalla pianura. Sono uomini selvaggi vestiti di
pelli rovesciate dal capello biondo o rossiccio. Da tempo immemorabile pare scendano
dalle grandi montagne che stanno oltre il grande fiume che taglia la bassa in
due. Hanno stabilito la loro base di partenza
su due isolette difese dall’acqua dal fiume che scende dal grande lago.
Fero ed i suoi sin dal loro arrivo sentirono parlare di queste genti nordiche
che il loro conterraneo Tarconte aveva combattuto presso quelle due isolette,
ma ne ebbe la peggio. Ritirandosi più a sud oltre il grande fiume soprannominò
quel luogo Mantus, divinità infernale del Pantheon Etrusco. Le nuove mura sono
solide e difendono ora la nuova città che sta diventando nodo strategico di
tutti i traffici tra la Tuscia ed Adria. Arriva una nuova estate Fero ed i suoi
continuano la loro opera. La canicola ha raggiunto il massimo e Fero sospende
nelle prime ore del pomeriggio la consueta attività per riprenderla più tardi,
quando la brezza scende lieve dalle colline. Riposa un oretta ed altrettanto fa
la figlia Felsina, dopo aver terminato le attività domestiche. Ella è ora una
bella giovinetta, piena di vita, a cui la vecchia Marsica dopo la scomparsa di
Aposa ha dedicato tutta se stessa. “Un segno divino….oh padre”, Felsina con la
caraffa dell’acqua fresca tra le mani
“Su dammi da bere…” sbotta Fero assetato come sempre al risveglio dalla
pennichella. La giovinetta impertinente, aveva assistito pochi giorni prima
alla festa del solstizio, Fero e gli altri anziani in modo animato discussero
sul nome da attribuire alla nuova città, ora che anche le mura erano terminate
ed essa si presentava solida e prosperosa. “Padre pazienta un attimo….un sogno
terribile….ti devo svelare…Tifone nel sonno mi è apparso”. Aveva membra smisurate, era metà uomo e metà bestia. Aveva
la testa d'asino, le ali da pipistrello ed era più alto della più alta montagna
del mondo. Con le mani riusciva ad acchiappare le stelle e con le gambe
riusciva ad attraversare il mare Egeo in 4 passi dalla penisola Ebea fino alle
spiagge di Troia. Sulle spalle aveva 100 serpenti che invece di sibilare, a
volte latravano come cani, a volte ruggivano come leoni. Ognuna delle gambe era
formata da due draghi attorcigliati, orribili a vedersi che facevano capolino
con le teste, da dietro le anche. La sua barba e i suoi capelli ondeggiavano al
vento e dagli occhi fuoriuscivano lingue di fuoco e lui sputava di continuo
massi incandescenti.
Egli mi
ha confidato” Fanciulla, tuo padre non potrà essere dissetato e la disgrazia
ricadrà su tutti voi, se la nuova città non porterà il tuo stesso nome”. Fero è
uomo forte e coraggioso, rispettoso delle divinità. Non esita un attimo, scende
immediatamente dal giaciglio per fortuna in mattinata si è riunito con i suoi
ed hanno aggiornato al pomeriggio il consiglio degli anziani. Con la gola secca
e Felsina al suo fianco raggiunge il luogo dell’adunanza, egli spiega ai molti
già presenti la situazione. Invita poi la figlia a prendere la parola per
aggiungere, quanto da lei ulteriormente appreso circa il sogno. Felsina appare
subito convincente “ho appreso da Tifone che Zeus fu aspramente redarguito dalla figlia Atena,
che gli ricordò come da lui dipendesse il destino dell'umanità. Le due divinità
assunsero così anch'esse proporzioni gigantesche ed affrontarono il mostro sul
monte Casio, ai confini dell'Egitto. Nel primo, durissimo scontro Atena fu
messa fuori combattimento in pochissimi istanti, ma subito dopo Zeus riuscì a
respingere Tifone con un potente fulmine e quindi ad abbatterlo a colpi di
falce. Quando però il re degli dèi si avvicinò per scagliare il colpo decisivo,
Tifone gli strappò l'arma dalle mani e lo ferì gravemente, imprigionandolo poi
in una caverna della Cilicia ……”. “Non
c’è bisogno di perdere altro tempo”. Interviene Atmos l’amico più fedele del
padre, “da giorni ci logoriamo su questa vicenda senza una decisione, questo è
il segno che aspettavamo”. E’ un boato, tutti sono convinti che la città d’ora
in poi si chiamerà Felsina. Fero finalmente….si disseta. L’avvenente fanciulla
divenne poi donna e madre stimata, fierissima e sempre memore di quel giorno…..indimenticabile.
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