SULLE TRACCE DI ENZO E ADELASIA
Che tristezza qui al Castello di Burgos, mi cullo ormai nei rimpianti. Sono per tutti la Giudicessa di Torres. Ma in realtà sono l'ostaggio, di Michele Zanche, il mio terzo marito. Lui l'ex maniscalco, si è sostituito al mio grande amore. Enzo, il mio secondo marito, che però ben presto si stancò di me, abbandonandomi al mio destino, buttandomi tra le braccia di questo malefico zoppo. Enzo lo conobbi che era diciottenne. Alto, bello, dai lunghi capelli biondi e quegli occhi azzurri. Figlio naturale dell'imperatore Federico II e della sua concubina. In poco tempo avevo perso, padre e fratello. Pure mia madre dopo la morte di mio fratello era tornata a Karalis dalla sua famiglia di origine e non era più ritornata. Ero rimasta progressivamente sola, intorno a me si era fatto il vuoto. La mancanza di maschi appartenenti alla mia progenie, fece cadere su di me l'impegno di prendere le redini del Giudicato di Torres. Ma andiamo per ordine:
Tutto iniziò quando, Ubaldo, il mio primo marito era ancora accanto a me. Ma lo fu per poco, perchè una febbre improvvisa se lo porto' via. Il giorno che conobbi Enzo ero ad un bivio. Dovevo scegliere tra lui e Guelfo Porcari. Tra il giovanissimo figliastro dell'Imperatore ed il protetto di Papa Gregorio IX. Non ebbi il minimo dubbio, io a prima vista mi incapricciai del giovane nordico. Lui in quel frangente mi illudeva, scrivendo versi poetici, nonostante la differenza di età, io avevo gia' 31 anni, ben tredici più di lui, ma in quello stato di euforia non ci badai per nulla.
Ci sposammo, lui diceva di amarmi e mi possedeva con lussuria ed io ero al settimo cielo. Credevo di aver rafforzato il Giudicato, sposando il figliastro dell'imperatore. Il padre lo aveva pure nominato Re di Sardegna. Ma non tardò la reazione Papale. Subito ci scomunicò, accusando me, la vedova di Ubaldo Visconti, di aver rotto il patto che avevamo sottoscritto, anni prima alla morte di mio fratello. Certo, se Enzo mi fosse rimasto accanto, invece di ritornare in Continente, le cose non avrebbero preso, questa brutta piega. Lasciandomi in balia degli eventi, dopo pochi mesi dal matrimonio. Fu così che una bella sera al nostro Palazzo di Ardara, sede e centro nevralgico, del Giudicato, mi annunciò:
"Mia cara Adelasia, io presto sarò al comando delle truppe Ghibelline. Mio padre, attraverso l'aiuto di amici le sta costituendo. Lo scopo e' quello di unificare l'impero, riportandolo agli antichi fasti. Vedrai che Enzo il Re della Sardegna, poi ritornerà qui al Palazzo di Ardara e ti porterà in dono il resto d'Italia. Intanto per aiutarti al disbrigo delle faccende quotidiane, che non sono consone ad una femmina come te , ti presento il fido Michele Zanche". Subito, io pensai “Enzo tornera' presto” ed accettai di buon grado. In verità a me il Sassarese Zanche però non era mai piaciuto. Sin da giovane, si era però fatto la nomea di -abile tuttofare- e tutti lo temevano per il suo carattere ed il suo carisma. Mai un ex maniscalco, nell'Isola tale reputazione, si era costruito. Mi era quasi coetaneo e la prima volta che lo vidi era proprio un bambino. L'occasione fu durante la cerimonia delle mie prime nozze. Pure io ed Ubaldo Visconti, entrambi dodicenni, entrammo in pompa magna alla Santissima Trinità di Saccargia di Codrongianos. Lui, mi dissero poi il suo nomignolo, era uno dei due paggetti, che reggevano la lunga coda del mio candido abito di sposa fanciulla. Lo notai perché entrando nella basilica dal prato posto dinnanzi all'entrata, si attardava claudicante, rispetto all'altro compagno che sorreggeva la coda del mio vestito. Mi voltai di scatto, come per ammonirlo, ma lui mi fissò, con i suoi occhi nerissimi ed io immediatamente abbassai i mei, dimessa ed intimorita. Tanto che il padre Camaldolese concelebrante, mentre ci avviavamo verso l'altare, mi riprese, a sua volta: "Adelasia fidati, vedrai Micheddu (così appresi il suo nomignolo), ci mette il suo tempo, ma come dice il proverbio, chi va piano va sano e lontano". Chi lo aveva messo lì, non lo seppi mai, però ho sempre pensato, era un segno del destino. Del mio destino. Me lo ritrovai puntualmente, nel giro degli interessi di mio marito Ubaldo. Dopo la morte di mio padre, Mariano II di Torres, la successione toccò al mio giovanissimo fratello Barisone, allora undicenne. Per questo, fu messo sotto tutela dello zio Ithocorre. Ma in quel vuoto di potere, abilmente si inserì mio marito Ubaldo, spalleggiato tra gli altri dal sempre presente Micheddu. Che tutti ora chiamavano Michel Zanche, capopopolo ormai incontrastato di Tathari. Qui Zanche ergendosi a paladino dei Sassaresi, che colpiti a lor dire da pesanti prebende, si rivoltarono. Coltivò e crebbe definitivamente il mito della sua personalità. Al culmine della protesta tesa a creare -Il libero comune in Tathari- poi io non seppi mai il motivo dovette fuggire. Lasciò addirittura l'Isola, rifugiandosi in alta Italia. Mantenne però sempre vivi contatti con mio marito Ubaldo. Io non seppi mai dei loro interessi comuni, ma temevo per il mio giovanissimo fratello Barisone.
Tant'è che una sera a cena, mio marito Ubaldo, accennò a me e mia madre "Questi tumulti di Tathari, cominciano a destare molta preoccupazione. In noi si è fatta strada l'idea che tuo fratello ora che è stato nominato a capo del Giudicato, qui ad Ardara, corra seri pericoli. Ne ho parlato, oggi, con zio Ithocorre ed abbiamo concordato che sarebbe più sicuro per lui un trasferimento a Sorso. Là tutto è tranquillo, tu Adelasia che ne pensi?
Io non avevo nessuna idea in merito, ma volevo un gran bene, al mio fratellino. Pensai sinceramente, fosse per il suo bene futuro, tra l'altro Ubaldo mi confermò che la' presso i frati di S.Pantaleo, avrebbe completato la sua formazione. Quindi appoggiai completamente, la sua partenza per Sorso. Barisone partì ed io non lo rividi, mai più. Fu assassinato e fatto a pezzi. Mia madre, appresa la notizia, da quel giorno non fu più la stessa. "Io qui ad Ardara, non resisto più, domani parto per Karalis, approfitto della presenza di mio cugino, venuto per il funerale di Barisone".
Già, già tutti questi ricordi, si intrecciano, ma il dolore piu' grande che ancora mi tormenta e' il tradimento di Enzo. Dopo quella sera, piena di promesse, parti' e mi lascio' per sempre. Certo il suo ricordo me lo lasciò:
Elena; ed ora gia' tre anni erano trascorsi, dalla sua nascita. Cresceva ed era l'immagine di Enzo. I suoi occhi azzurri e le treccine bionde, ne erano la testimonianza. A lei piaceva verso il tramonto, affacciarsi alla finestra posteriore del Palazzo di Ardara. Li' si si godeva il calare del sole ed io la osservavo con tenerezza ed amore materno. La sua eterea immagine, contrastava, con la sottostante nera e severa facciata della cattedrale e laggiù il purpureo profilo dei monti lontani, verso l'orizzonte. Io ancora sognavo, che suo padre tornasse. Ma Enzo non tornava ed il mio cuore, ogni giorno che passava era sempre più turbato.Ed ora lo Zanche ci faceva visita, regolarmente. Il suo ruolo di Vicario, lui diceva gli imponeva di essere presente, per meglio coadiuvarmi negli affari del Giudicato. Lui stesso quel pomeriggio, vide la mia piccola in contemplazione del tramonto. Quasi distrattamente le si avvicino' e come se da lei fosse impietosito, lancio' il suo anatema nei confronti di Enzo.
-Che errore e che sottovalutazione feci il giorno che spinsi il bastardo ragazzino tedesco tra le braccia di tua madre.
Era pero' tanto e tale il mio risentimento che provavo in quel momento nei confronti di Enzo, che le parole di Michele, anziche' farmelo odiare mi confortarono. Lui era impudente e scaltro e mi capiva immediatamente. Forte del suo bluff, rincaro' la dose:
-La nostra giudicessa, tua madre e' una santa donna, la luce più splendente del Giudicato di Torres. Io mai mi sarei comportato come lui.
Fu cosi' che quella notte, io come sempre povera illusa e forse per rivalsa verso Enzo , gli cedetti e pure nelle notti che seguirono. Lui ormai si era preso tutto, il Giudicato ed anche il mio onore di donna maritata. Soltanto la mia anima, sempre piu' fragile e confusa, mi restava. Ma un'altra sorpresa mi colse in quel tempo travagliato; una nuova gravidanza.
Che fare?
Non mi restò che informare, lui Michele Zanche, il mio nuovo amante e curatore ormai incontrastato, dei miei interessi Giudicali. Sulle prime lo vidi per un attimo confuso e contrariato. Per tutti io ero, nonostante la sua partenza ed il mancato ritorno, la moglie di Re Enzo. Figlio illegittimo dell'imperatore Federico. Pero' da lui nominato ed innalzato a Re di tutta la Sardegna. Non passarono che pochi giorni. Michele di buon mattino venne a palazzo e con il cinismo e la faccia tosta di sempre, mi comunico':
"Mia cara Adelasia, ho molto riflettuto sulle vicende chi ci toccano entrambi. Tu sai che non verro' meno alle mie responsabilità. Perciò la cosa da fare ora, prima che la tua nuova gravidanza si manifesti in tutta la sua evidenza e' che tu lasci il Palazzo di Ardara.
- Per andare dove? Io azzardai.
- Visto che l'estate sta per arrivare, se ti trasferirai al castello di Burgos, nessuno avrà da ridire e tu potrai in tutta discrezione portare avanti la nuova maternità.
Vista la mia condizione, non potei che avallare la sua proposta, che per altro mi sembro' del tutto sensata. Mi avrebbe permesso di sottrarmi a tanti occhi indiscreti ed a altrettanti pettegolezzi.
In fretta e furia nei giorni successivi, io, Elena ed i domestici a noi più fedeli, partimmo per il Castello di Burgos. Lo Zanche, sarebbe invece rimasto ad Ardara, per il disbrigo degli affari correnti del Giudicato. Mi avrebbe raggiunto a Burgos di tanto in tanto, per non venir meno al patto segreto tra me e lui. Cosi' fu, arrivo' l'autunno e poi l'inverno che quell'anno fu particolarmente rigido. La foresta attorno al castello era completamente imbiancata, quando venne al mondo la mia seconda bambina. Una moretta con due occhi scuri come carboncini e la pelle olivastra. Un bel contrasto, del tutto evidente, rispetto ad Elena. Decidemmo io e Michele di chiamarla Agnete. Lui ora quasi tutte le settimane veniva da Ardara e saliva al castello di Burgos, osservava la nuova venuta e restava come in adorazione.
Era quasi primavera, quando spavaldo come sempre mi annuncio':
Adelasia, ti porto una grande notizia, non c'é più nulla da temere, nessuno da oggi in poi, ti potrà e ci potrà condannare per la venuta al mondo di Agnete.
Cos'era dunque successo, ad Enzo? Qual era il motivo che faceva sentire Michele, cosi' certo del fatto suo?
- Adelasia, come tu ben sai, molti fatti si son succeduti, a nostra insaputa, da che tuo marito e' partito.
Certo, l'eco delle sue gesta, arrivava sin qui. Già pochi mesi dopo la sua partenza, quel blocco navale da lui capeggiato all'Isola del Giglio, ai danni di Papa Gregorio IX, inasprì ulteriormente i rapporti già tesi tra il nostro Giudicato e la Santa Sede. Lui Enzo il braccio e suo Padre Federico II, il mandante. Con il ratto al Giglio degli alti prelati Francesi salpati da Genova in viaggio verso il Concilio Romano, sfidavano apertamente il potere Papale. I rapporti tra il Papa e l'imperatore si stavano facendo sempre più tesi. Entrambi capeggiavano una fazione Gregorio IX i Guelfi e l'imperatore Federico II di Svevia i Ghibellini. Entrambi si sentivano investiti direttamente dal Padre Eterno ed ognuno di loro voleva esserne il legittimo rappresentante terreno. Il loro confronto si trasferì ben presto anche sulla terra ferma, era un dualismo ed una rivalità senza quartiere. L'autorità imperiale sembrava inarrestabile e l'invasione di Roma imminente. Ma ancora una volta il fato ci mise lo zampino, inaspettatamente Gregorio IX fu colto da morte improvvisa e l'imperatore Federico in segno di pietà fermo' l'assedio Romano. Ora il giovane e smanioso Enzo si trasferì in alta Italia. Altre sfide, lo attendevano e lui non si tirava certo indietro. Qui conobbe nelle sue nuove scorribande, un valente condottiero e fedele amico di suo padre, Ezzellino Romano. Alla sua Corte, Enzo era ammirato dagli uomini, ma soprattutto dalle donne. Conobbe ben presto un nuovo amore Costanza, la splendida nipote del valente capitano di ventura. Fu un vero colpo di fulmine!!!
-Due giovani, fatti uno per l'altro.
Chioso' sarcastico Michele Zanche nel comunicarmi la novità.
Aggiunse poi:
Il loro matrimonio, sarà celebrato entro brevissimo termine.
Stavo sprofondando, ma con apparente calma lo ripresi:
-Ma come e' possibile tutto ciò!!!
-Semplice mia cara, il nuovo Papa, Innocenzo IV, vuole una tregua con Federico II di Svevia e scioglierà il tuo matrimonio con Enzo.
Ora realizzai prima che proseguisse, perché la nascita di Agnete, non costituiva, piu' alcun problema.
Ma Michele, ormai senza freni, avanzo' l'ulteriore proposta che naturalmente a me sembrò una vera imposizione:
- Nulla ormai potrà impedire, la nostra unione, di niente ci dovremo più vergognare, Agnete avrà la stessa dignità di Elena.
In effetti quest'uomo diabolico, sembrava avere perfettamente ragione. In un colpo solo, il Giudicato riacquistò la fiducia del Papato e la nuova nata non era più il frutto avvelenato del nostro peccato, ma la consacrazione della nostra unione ed il riavvicinamento al nuovo Papato Romano. Ma ciò che non compresi lì per lì, fu l'apparente indifferenza, mostrata da Enzo ed all'imperatore Federico, nei nostri confronti. Enzo per altro continuò a fregiarsi del titolo di Re di Sardegna, nelle sue nuove scorribande Padane. Lo avrei scoperto, molto più tardi il motivo, quando in catene, dopo la battaglia di Fossalta, paesino Modenese di confine, tra l'Impero e lo stato Pontificio. I Guelfi Bolognesi lo catturarono durante la battaglia e lo condussero prima nella torre di Anzola e poi fino in città a Piazza Maggiore e lì lo imprigionarono. Ancor oggi lì giace, ma in una condizione totalmente diversa dalla mia. Io sono vera prigioniera qui a Burgos, che certo pensavo di lasciare immediatamente dopo il mio terzo matrimonio. Ma Michele fu irremovibile:
- Adelasia, finalmente la nostra vicenda ha trovato con il matrimonio, la giusta conclusione. Ora per il bene del Giudicato, tu resterai qui al sicuro con le figlie. Io ad Ardara, potrò meglio fronteggiare le velleità dei Sassaresi, che in modo sempre più oltraggioso, rivendicano l'indipendenza del Comune. Quel Palazzo non è più sicuro, come lo fu nel passato, per una madre e due piccole.
Io piansi, certo ero colei che era stata investita, dopo la morte di mio fratello Barisone, a reggere le sorti familiari e quindi del Giudicato. Ma la completa solitudine nella quale ero relegata, qui a Burgos, mi impediva qualsiasi atto di governo. Inoltre la morte violenta di mio fratello per mano degli insorti cittadini di Tathari ed il conseguente abbandono di Enzo, non facevano che dare ragione allo strapotere dello Zanche, che ora aveva preso decisamente nelle sue mani non solo il mio destino, ma anche il Giudicato di Torres. Intanto Elena ed Agnete, crescevano come due vere sorelle, l'una per l'altra e pur nella loro diversità fisica erano ai miei occhi come una sinfonia, dolce e struggente. In quel tempo, il ricordo di Enzo, tendeva a svanire pur comprendendo che era stato lui, con la sua fugace apparsa il mio grande amore. Tuttavia il passare del tempo e ciò che mi veniva riferito di lui, me lo resero più sfumato e la sua figura era ora compensata dalle certezze che mi offriva Michele Zanche.
Finchè la verità mi aprì gli occhi, in tutta la sua crudezza. Contemporaneamente alla notizia, della prigionia Bolognese di Enzo, ricevetti una mattina una missiva personale. La fedele ancella me la consegnò dicendomi:
Un cavaliere l'ha portata personalmente, da parte di Adelaide Urslingen Marano.
Chi era dunque costei?
Era un plico assai spesso, se di corrispondenza si trattava, questa donna a me completamente sconosciuta aveva molte cose da riferirmi. Mi chiusi nello studiolo, comodamente seduta, tirai la cordicella, fissata dalla ceralacca ed un manoscritto di tutto rispetto si presentò pronto per la lettura. I convenevoli di rito, facevano capire immediatamente l'alto rango, di chi mi stava scrivendo. Li superai velocemente e andai subito alla ricerca di dettagli meno formali:
…...sono vostra coetanea e sinceramente nutro nei vostri confronti un sentimento di rispetto e solidarietà. Vi chiederete la ragione di questa mia, visto che mai ci siamo conosciute personalmente. Io sono colei che ha messo al mondo Enzo, la madre di cui so per certo lui non vi ha mai confidato il nome e tanto meno vi ha parlato dei suoi sentimenti nei miei confronti. Vi prego, non vi indignate, leggete l'intero contenuto, prima di giudicarmi........
Certo, ero indignata, ma era troppa la curiosità e non ebbi il minimo dubbio, proseguii la lettura:
…......Non avrete poi modo, di rispondermi, perchè quando leggerete queste parole, io non farò più parte, di questo mondo. Al pari vostro, anch'io sono vittima del sistema di potere costituito, che sovrasta entrambe. Inoltre io l'unico titolo che vanto è quello di concubina e di fatto il mio tempo si è compiuto. Al proposito, vi debbo alcuni passaggi, per meglio farvi comprendere, quanto ci accomuna. Scusate se la prendo da lontano, partendo dalla mia adolescenza. Ero come voi, una ragazzina di quattordici anni, quando avvenne la svolta della mia vita. Son certa che già, un primo filo sottile, ci possa accostare ed unire, voi in quel tempo stavate per conoscere il vostro futuro primo marito ed io conobbi addirittura l'imperatore Federico II. La differenza è che Ubaldo Visconti, diventò effettivamente vostro marito, mentre l'imperatore era già sposato ed io fui unicamente un suo capriccio, che non ebbe mai alcun riconoscimento. Certo lui arrivò a Spoleto in Estate al tempo della mietitura. Ospitato dalla mia famiglia Urslingen Marano, lontani parenti con discendenza Sveva. Si fermò proprio lì presso di noi in attesa essere ricevuto a Roma da Papa Gregorio IX. Una parentesi, ma complice la trebbiatura, fu improvvisata in suo onore una grande festa di sapore pagano. Io biondissima, dalle lunghe trecce intersecate dalle generose spighe dorate, feci gran colpo su di lui:
-Chi è la piccola Valchiria? Gridò l'imperatore.
-Adelaide, la mia secondogenita! Rispose raggiante mio padre.
Si sa poi come vanno le cose, io credo voi mi possiate capire bene. Non solo seguii Federico II a Roma, tenendomi a debita distanza, dagli incontri tra l'Imperatore ed il Papa, ma lo seguii nei mesi successivi fino ad Hagenau, lì dove aveva stabilito il suo quartier generale. Entrai in società, con il titolo di damigella di corte, i pettegoli scoprii poi malignarono “Anche la piccola Adelaide ora è parte integrante del suo harem”. Aveva messo a mia disposizione il casino di caccia nei pressi della Foresta sacra vicino al fiume e per questo sulle prime credetti di essere per lui, una donna speciale. A quel tempo, ci incontravamo un paio di volta la settimana, lì venne concepito Heinz, che entrambi chiamammo però sempre: Enzo. La ragione era così ci dicevamo, la nostra Italianità spiccata, di me avete già saputo dove ero nata e cresciuta e dell'Imperatore immagino conosciate attraverso i racconti di Enzo, lui ha sempre amato parlare di suo padre e del suo amore per la penisola.
Questa donna ha perfettamente ragione. Ricordo perfettamente, appena lo conobbi, Enzo oltre alle rime che declamava per conquistarmi metteva continuamente in evidenza aspetti e trascorsi Italiani della gioventù del padre e continuamente mi raccontava :
- Era nato per caso a Jesi, ma trascorse molti anni da ragazzo nelle scorribande nei vicoli e nei souk della Medina di Palermo, la città materna . Senza alcun segno dell’imperiale regalità, sgusciava dalla porta secondaria della reggia del Palazzo dei Normanni, per immettersi, da subito, per confondersi nel popolo minuto della capitale, nel sole del mediterraneo, nei profumi e nel vivere della gente variegata della città. Nelle vene di mio padre, pulsava il sangue impetuoso degli antichi normanni, errabondi, pirati ed avventurieri, malconiugati con quello gentile degli Altavilla. Diciassettenne, ripartì per la Germania. Tra i fitti boschi della Alsazia e le colline che dagli aspri monti dei Vosgi, dolcemente degradano verso il Reno, si acquartierò nella deliziosa Hagenau. Per cingere la corona imperiale, per convocare la dieta dei principi tedeschi, per affrontare e dirimere i problemi mitteleuropei; per ipotizzare una grande Europa, unita ma laica, sia pur nel rispetto della chiesa e delle altre confessioni religiose. E qui conobbe e perfezionò l’arte nella caccia agli orsi ed ai cinghiali, prima sconosciuti; si allontanò definitivamente dalla ressa dei mercati di Palermo, dalla pompa di Roma papalina. Si immerse nel profumo degli abeti e delle querce secolari dei boschi e nella tranquillità del castello immerso nella fitta vegetazione d’attorno, ma soprattutto nella atmosfera raccolta della ricca biblioteca.
Non divago oltre tra i miei ricordi e riprendo la lettura:
Certo il clima Alsaziano, soprattutto d'inverno, pesava ad entrambi ed io presto rimasi come vi ho già menzionato, incinta, lui al tempo era premuroso e mi consolava in quelle fredde giornate, fantasticando sul futuro della nuova creatura che sarebbe venuta alla luce:
-Lo sento, sarà maschio, nelle sue vene scorrerà sangue tedesco, ma nello stesso tempo crescerà con il nostro spirito Mediterraneo.
Così fu e lui continuò per molti anni, per una buona dozzina a frequentarmi assiduamente, mettendomi a disposizione mezzi non solo per il nostro sostentamento.
Ma mandò anche istitutori e maestri, che curarono la formazione dell'ormai adolescente Enzo. Era appena trascorsa la Pasqua e l'imperatore era da più di un mese che ormai non ci faceva visita, inoltre negli ultimi tempi, non era più assiduo come in precedenza. Noi lo accogliemmo come sempre e lui ci comunicò che a pranzo ci avrebbe dato “La per voi lieta novella”. Sentimmo che qualcosa di importante, ci attendeva e così fu. L'imperatore, non indugiò troppo:
-E' venuto il tempo, del distacco, tu Adelaide seguirai Enzo a Cremona, io tengo particolarmente che lui completi il suo percorso verso il sogno che sempre abbiamo nutrito per lui. Là troverete miei vecchi e nuovi amici, alcuni sono locali, ma altri vengono da tutta la penisola, anche loro tutti nutrono il sogno di una penisola di nuovo tutta unita, come al tempo di Roma imperiale ed Enzo tra qualche tempo dovrà rappresentare colui che potrà realizzare questo grande progetto. Detto fatto, partimmo per Cremona dopo pochi giorni, con la promessa che l'imperatore Federico, sarebbe venuto spesso ora che la città dopo la vittoria di Cortenova, era saldamente nelle mani imperiali. Arrivammo così in città e già si respirava quel clima di ostilità aperta, tra le fazioni imperiali, contrapposte a quelle Papaline. In questo contesto, crebbe Enzo quasi diciottenne, la sua esuberanza andava di pari passo, con gli studi e gli incontri che il padre aveva programmato per lui. Una sera si presentò a casa con un ospite, un uomo non troppo alto, dai capelli corvini ed occhi nerissimi, pure l'incarnato era scuro, notai immediatamente il suo incedere claudicante.
-Michele Zanche, al vostro servizio, madonna Adelaide. Irriverente e sicuro di sé venne al mio cospetto, costui che mi chiesi immediatamente chi fosse, per presentarsi in modo tanto spavaldo. La serata trascorse cenando in sua compagnia e tra una portata e l'altra, quest'uomo fu molto galante nei miei confronti. Io ne trassi, non ve lo nascondo un gran piacere, visto che l'uomo a cui avevo dedicato la mia vita, ormai si era completamente scordato di me. Enzo con la sua esuberanza, me lo magnificò, ulteriormente:
-E' uno dei nostri, laggiù in Sardegna, è l'ago della bilancia, pure l'imperatore mio padre, ha grande rispetto per lui. Recentemente, dopo le sommosse di Tathari e l'assassinio di Barisone III di Torres, si è allontanato dall'isola per venire proprio qui a Cremona e chiedere il nostro soccorso, per contrastare il disegno Papale, quello di far maritare la nuova Giudicessa Adelasia con il Pisano Guelfo Porcari.
Fu così, che per la prima volta, udii parlare di voi e delle sfortunate vicende che riguardarono la vostra famiglia che vi portarono alla reggenza del Giudicato di Torres. Ora attraverso la mediazione di quest'uomo, veniva proposto all'imperatore Federico, di intervenire in prima persona per fermare il disegno di Papa Gregorio IX.
Era ormai notte fonda, quando si spense l'ultima candela che avevo lì nello studiolo, alzai gli occhi dalla coinvolgente missiva ed esclamai:
-Michele, ancora lui, sempre lui!
Avrei voluto, continuare per tutta la notte, ma l'impegno dell'indomani mattina con le bambine, mi fece desistere dal proposito. Loro Elena ed Agnete, erano l'unico conforto e nonostante ciò ancora una volta avvertii, la mia impotenza, su quanto era successo attorno e sopra di me.
Ma ben presto ripresi la lettura ed appresi che Adelaide, era poi divenuta l'amante di Michele Zanche, ma non solo:
Seguii Enzo a Tathari, Michele Zanche, ci sistemò a Casa Defraia. Vi conosceste Enzo faceva la spola tra il vostro palazzo di Ardara ed il palazzo Sassarese. Come ben sapete lui rimaneva anche dopo il matrimonio, solo qualche giorno ad Ardara e poi ritornava qui.
Già era stato proprio come mi raccontò, Enzo fin dai primi tempi, era si carino e pieno di attenzione per me, ma non si tratteneva ad Ardara che qualche fuggevole momento. Michele invece dopo la scomparsa di mio fratello l'avevo proprio perso di vista, ma era lui il vero regista e sceneggiatore della mia vita e del Giudicato. Che fessa e nessuno da zio Ithocorre agli altri che fecero da tramite a questa messa in scena, profferì mai a me alcuna parola. Ora tutto mi fu chiaro, dopo due giorni, seppi che Adelaide, era morta suicida. Michele, ottenne la tanto desiderata bolla Papale, con il definitivo annullamento del mio matrimonio con Enzo. In pompa magna fu celebrato il mio terzo matrimonio, lui volle fortemente che ci sposassimo, la dove molti anni prima, mi aveva fulminato con quello sguardo, la Santissima Trinità di Saccargia. Seguirono i grandi festeggiamenti, al Palazzo di Ardara, lì rimasi con le mie figlie poco tempo. Le tenevo in braccio e le stringevo al petto, ammirando al tramonto il severo profilo della nera cattedrale ed il profilo di quei monti laggiù, dove Michele mi relegò, fino alla fine dei miei giorni.
Amore mio, ben ti voglio.
Secondo la liturgia popolare, questo bambino divenne poi il capostipite della famiglia più illustre di Bologna, I Bentivoglio, signori di Bologna dal 1401 al 1506.
Enzo continuò in quegli anni ed in quella Bologna, caratterizzata dal “Liber Paradisus” a poetare. Mantenendo ben stretto il titolo di Re di Sardegna fino alla morte.
Il suo vicario Michele Zanche, dopo il matrimonio con Adelasia, non fece passare molto tempo per mettere in atto il proprio disegno, rispedendola appunto a Burgos. Le tolse le due figlie, appena raggiunsero l'età da marito e per il crepacuore lei non superò quest'ultimo affronto. Ma pure il suo destino ne uscì segnato. Ad Agnete a cui Michele teneva particolarmente, appena fu dodicenne, ne favorì il matrimonio con un alto esponente della famiglia Doria. I Doria, da tempo avevano messo gli occhi sul Giudicato di Torres. Ed in un intrigo di palazzo lo fecero avvelenare e Branca Doria il mandante e marito di Agnete, gli succedette nel governo del Giudicato, sciogliendo Tathari, dal vincolo Giudicale. I Sassaresi costituirono così un libero Comune ed in breve tempo anche il Giudicato di Torres tramontò per sempre.
A Burgos Adelasia, morì infatti solo qualche anno dopo, le furono strappate le figlie e questo fu per lei, l'ultimo affronto. Nel frattempo Federico II di Svevia, padre di Enzo morì poco dopo il suo matrimonio con Michele Zanche. Enzo imprigionato a Bologna, non fu mai liberato dai Bolognesi, ma la sua prigionia fu dorata in quel Palazzo che ancor oggi porta il suo nome. Visse ancora molti anni dedicandosi, anima e corpo alle sue passioni, la poesia e le concubine. L'allora Palatium Novum, fu ampliato per ospitarlo, si narra che ebbe almeno tre figlie naturali da queste relazioni. Inoltre dalla relazione con tale Lucia di Viadagola, nacque un bambino al quale fu dato il nome di Bentivoglio, per le parole che Enzo ripeteva alla sua amata Lucia: