martedì 12 novembre 2013

SALE LA FEBBRE E LA VOGLIA DI VEDERLA LI DAVANTI AI TUOI OCCHI

L'espressione estetica, assolutamente languida ed ammaliante, carica anche di un innocente erotismo. Quella luce che si irradia sul viso di giovinetta, ella è posta di fronte alla grande finestra illuminata. L'orecchino con perla, che cattura anch'esso quasi da solo la centralità della luce, è di grandi dimensioni e a forma di goccia. Sebbene lei appaia di modeste condizioni, il monile era a quel tempo prerogativa delle dame aristocratiche dell'alta borghesia.
Lei è cresciuta qui tra questi canali, tra queste case dai tetti aguzzi ed il cielo quasi sempre velato, quasi mai limpido e completamente azzurro.
Non è troppo esuberante come le coetanee che sono nate più a sud. Qui la vita ci appare silenziosa come filtrata e riflessa entro uno specchio terso. Lei che entra in punta di piedi in casa dell'artista e serve alla sua mensa. Lui che è dotato di grande sensibilità coglie in lei mentre si piega per versargli il vino quella luce sul suo viso che è posto tra i suoi occhi e la grande finestra. La immortalerà così di tre quarti in quel cammeo di soli cm. 40x47.

lunedì 4 novembre 2013

LUI ERA L'ORSO ED IO LA VOLPE

Lui era il più grande poeta del Novecento Italiano, io una giovane e vibrante letterata. Lui Eugenio Montale ed io Maria Luisa Spaziani, la nostra è la storia di una amicizia amorosa mai finita. 

«Avevo venticinque anni e morivo dalla voglia di incontrarlo. Conoscevo a memoria Ossi di seppia e qualche poesia delle Occasioni. Accadde al Teatro Carignano, nel gennaio del 1949. Montale mi guardò con un'intensità così forte che ne rimasi turbata». La Volpe ricorda poi la nascita di un legame forte, durato quindici anni, al quale fecero da collante l’amore per la letteratura, un’affettuosità particolarissima e soprattutto, strano ma vero, in fondo poi neppure così strano, le risate: «Ecco il punto fondamentale: le risate. Raramente mi sono divertita e ho riso come con Montale. In lui l’umorismo, il comico andavano in profondo, anche quando si incarnavano in piccole situazioni o minimi personaggi». Un Montale un po’ diverso dall'icona di poeta sommo e austero che siamo “scolasticamente” abituati a pensare. Un uomo dallo «spirito caustico», con le sue stranezze e con le sue contraddizioni, goffo e pungente, distratto e attento, geloso di una gelosia tutta sua, e che ogni tanto soffre «di violente antipatie in gran parte inspiegabili». Non sa andare in bicicletta, però nuota. Nei mattini d’estate arriva in spiaggia vestito di tutto punto, come per una conferenza («Era sempre il primo a giungere in giacca e cravatta, scarpe e calze al nostro ombrellone»), salvo poi indossare un costume davvero troppo simile a una maschera di carnevale: «Un costume da bagno completo, blu scuro con un grosso Topolino a strisce bianche e rosse». 
«No, non sono mai stata bella. Era affascinato dalla vitalità, questo sì. Subito abbiamo trovato un terreno infuocato di interessi e curiosità. Di Proust ho già detto, poi Hoelderlin, Rilke, Eliot. E una grande leggerezza, la voglia di ridere e giocare. Non avevo mai capito a fondo una sua dedica del 1956, sulla mia copia de La Bufera e altro».«"Alla Volpe, che non soltanto mi regala la luce della sua giovinezza, quanto mi restituisce la mia che non ho mai avuta"». Lui l'orso aveva più del doppio dei miei anni ed io così lo definii quando «Un giorno lo vidi appoggiato al banco di un'agenzia di viaggio, metteva il piede all'interno come fanno gli orsi. "Mi sei sembrato un orso", gli dissi. Ecco, fece lui, l'Orso va bene con la Volpe». 


domenica 27 ottobre 2013

RICOSTRUIRE NELL'ECONOMIA DELLA DECRESCITA PARTENDO DAI DISTRETTI DELL'ECCELLENZA

Questa è una storia contemporanea. Mentre noi ci crogioliamo nelle lotte fratricide interne, il ritorno di Forza Italia e la tre giorni della Leopolda in vista delle primarie del Pd. Il super-euro inizia a fare male davvero. Nell’ultimo anno la moneta unica è infatti rincarata su tutte le principali valute del mondo: in media – calcola la Bce – il rafforzamento è stato del 7% nei confronti delle valute dei principali partner commerciali del Vecchio continente. L’euro ha guadagnato da gennaio l’11,8% contro il real brasiliano, il 17,3% contro la rupia indiana, il 15,6% sulla lira turca. Ed è sui massimi da due anni nei confronti del dollaro. L’Italia soffre infatti più degli altri principali Paesi, perché le nostre esportazioni hanno una soglia di "tolleranza" al caro-euro più bassa rispetto a quelle altrui. Calcolava Morgan Stanley qualche mese fa che le imprese tedesche sarebbero in grado di sopportare un cambio euro-dollaro fino a 1,53, mentre le italiane già annaspano sopra quota 1,19. Sono ovviamente delle supposizioni ma un fatto è certo Germania e la stessa Francia hanno brands e marchi talmente affermati nell'immaginario collettivo del resto del mondo e particolarmente nei paesi emergenti che rappresentano per loro veri e propri "status symbol" irrinunciabili, qualunque sia il loro prezzo. 

L'Italia quindi si presenta a questi mercati magari con ottimi prodotti di "nicchia" ma senza grandi firme. Siamo una sorta di "seconda linea", rispetto ai cugini d'oltralpe e ne paghiamo le conseguenze. Le esportazioni nonostante tutto tengono, grazie alla "creatività e perseveranza" di un manipolo di cani sciolti che fanno sopravvivere una inimitabile "eccelenza che viene da lontano", quella dei distretti tipici locali.



Come ripartire da qui, senza piangerci addosso se ci saranno fondi pubblici e comunitari benissimo, diversamente questa dovrà essere la nostra priorità assoluta. Se non saremo capaci entro pochissimi anni di riformare il sistema burocratico che ci sovrasta e che divora la ricchezza che ancora si produce, stiamo parlando "di niente" e distruggeremo anche l'ultimo asset che ci resta.  Dobbiamo cambiare noi stessi e fortunatamente i primi segnali cominciano a manifestarsi un segnale è "l'iscrizione alla scuola secondaria". Per la prima volta dopo anni o decenni l'indirizzo verso "Istituti professionali o specifici", si va  timidamente riaffermando. 






giovedì 19 settembre 2013

Jurgen Klopp vero istrione o pagliaccio di passaggio?

"Portammo la squadra su un lago in Svezia -racconta Klopp-, dove non c’era energia elettrica. Andammo lì per cinque giorni, senza cibo. Dovevamo pescarcelo. Gli altri preparatori dicevano: “Ma non sarebbe meglio allenarci a giocare a calcio?”. No. Volevo che la squadra sentisse di poter sopravvivere a qualsiasi cosa. Il mio vice pensava che fossi un idiota. Mi chiese se potevamo allenarci. No. Se potevamo correre. No. Ma potevamo nuotare e pescare! Quando oggi mi capita di incontrare uno di quei calciatori, uno delle “forze speciali”, mi accorgo che di quei giorni sono in grado di raccontare tutto, dal primo all’ultimo minuto. Ogni notte in una cazzo di tenda, con le radici sotto la schiena mentre dormi: sono cose che non dimentichi. Ci spostavamo di isola in isola. Il primo che arrivava doveva accendere un fuoco e mettere a bollire dell’acqua. Pioveva tutto il tempo. Smise di piovere solo per cinque ore e… una zanzara! Ma come diavolo vivono in Svezia? Per una volta c’è il sole e arrivano le zanzare! Ma è stato fantastico. Eravamo come Braveheart. Arrivammo in Bundesliga e tutti trovavano incredibile quanto fossimo forti”. Questo l'antecedente e l'anneddoto riguardante l'allenatore dell'allora Mainz. Oggi trainer del miracolo Borussia Dortmund e istrione che si è esibito ieri sera sul proscenio del S. Paolo di Napoli.

venerdì 13 settembre 2013

Un aspetto inedito della sfida Renzi / Cuperlo

Matteo Renzi il 2 settembre in una serata di piena estate viene acclamato da seimila spettatori sulle note di "Il più grande spettacolo dopo il Big Bang" di Jovanotti.
Gianni Cuperlo l'11 settembre in una serata fresca e nuvolosa raccoglie comunque un pubblico di un migliaio di persone ed entra in sala con "People have the power" di Patti Smith.
che tradotto in Italiano, il testo è questo:
Ero immersa nei miei sogni 
di una apparenza brillante e corretta 
e il mio sonno è stato interrotto 
ma il mio sogno rimaneva chiaro 
sotto forma di vallate luminose 
dove si sente l\'aria limpida 
ed i miei sensi si sono riaperti 
Mi svegliai (sentendo) l\'urlo 
che la gente ha il potere 
di redimere l\'opera dei pazzi 
fino alla mitezza, alla pioggia della grazia 
è stabilito, è la gente che guida 

La gente ha il potere 
La gente ha il potere 
La gente ha il potere 
La gente ha il potere 

Gli atteggiamenti vendicativi diventano sospetti 
e rannichiarsi come per ascoltare 
con le braccia protese in avanti 
perché la gente ha le orecchie 
e i custodi e i soldati 
giace sotto le stelle 
scambiando ideali 
e abbassando le braccia 
per disperdere / nella polvere 
per diventare / come vallate splendenti 
dove l\'aria pura / si percepisce 
e i miei sensi / (sono) di nuovo aperti (al mondo) 
Mi sono svegliata piangendo 



Dove c\'erano deserti 
ho visto fontane 
l\'acqua sgorgava come crema 
e noi andavamo a spasso là assieme 
e non c\'era nulla di cui ridere o da criticare 
e il leopardo 
e l\'agnello 
dormivano assieme realmente abbracciati 
io speravo nella mia speranza 
di riuscire a ricordare quello che avevo trovato 
io sognavo nei miei sogni 
Dio sa cosa / una visione ancora più pura 
fino a che non ho ceduto al sonno 
Affido il mio sogno a te 



Il potere di sognare / di dettare le regole 
di lottare per cacciare dal mondo i folli 
è promulgata la legge della gente 
è promulgata la legge della gente 
Ascolta: 
Io credo che tutto quello che sogniamo 
può arrivare e può farci arrivare alla nostra unione 
noi possiamo rivoltare il mondo 
noi possiamo dare il via alla rivoluzione sulla terra 
noi abbiamo il potere 
La gente ha il potere ... 
Ebbene a me preme mettere in evidenza questo aspetto per evidenziare anche sul piano culturale l'abisso che esiste tra i due. Matteo è sfrontato, sintetico, immediato. Gianni è timido, minimalista, complesso un pò prolisso. Sono due mondi distanti  non gestibili nel medio lungo termine. 

sabato 22 giugno 2013

CASA DOLCE CASA....DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

La casa acquistata da Claudio Scajola «a sua insaputa» con vista Colosseo è diventata oramai una leggenda, e un consolidato modo di dire. Il tormentone sulla casa di Montecarlo ereditata da una nobildonna di immarcescibile fede missina e poi acquistata misteriosamente da una società offshore e poi presa in affitto  dal cognato Tulliani, ha inferto colpi durissimi all'immagine di Gianfranco Fini. 
Ora Il ministro Idem inciampa su una palestra scambiata per prima casa e dunque sottratta agli obblighi dell' Imu. La colpa è del commercialista un po' disinvolto: lei va in canoa, mica poteva controllare tutti i dettagli. Ancora una casa aleggia come un fantasma a Firenze, come rifugio presunto di una escort per cui avrebbe perso la testa un assessore di Matteo Renzi. Certo per la casa si fanno follie....

domenica 28 aprile 2013

La Restaurazione

 Questi anni devastanti che avevano distrutto un tessuto economico che veniva da lontano e che si era stratificato nel tempo. I primi sintomi di quel cambiamento si erano avvertiti con l'evento che noi avevamo indicato come liberatorio. La caduta di quel muro ci aveva fatti sentire di nuovo tutti fratelli "ora non ci saranno più figli e figliastri, ci abbracceremo sotto un unico cielo", gridavamo passando sotto quella porta che ci aveva separati.

Ben presto con la nostra gioventù perdemmo pure quella speranza, prima guerre fratricide a due passi da casa nostra combattute nel nome di odi atavici risvegliati prontamente con l'avvento di quell'anelito. Ci distraemmo per consolarci con l'ecologia "il pianeta è soffocato dai veleni generati dal consumo smodato degli idrocarburi, bisogna invertire il trend con una economia green". Ma l'andazzo non cambiò o meglio si deteriorò ulteriormente, i politici ora mescolavano sempre più il loro "particulare", con l'attività pubblica. Mentre l'economia risultava sempre più drogata dalla finanza "dei derivati", la sintomatologia si trasformò in malattia, scoppiò la bolla ed il sistema reale ne fu totalmente coinvolto. Noi eravamo prossimi ormai alla quiescenza, pensavamo ormai di goderci ciò che "ci restava". Rimanemmo nel guado, eravamo sicuri di poter raggiungere "l'altra riva", attraverso la "solidarietà del sistema". Ma la risposta del "Wefare state", non fu affatto quella che ci aspettavamo "voi siete una sorta di tappo, ostruite l'inserimento dei giovani". Sulle prime fingemmo di "non sentire", ma quando ci colpirono "tagliandoci qualche privilegio", facemmo "girotondi" e li accusammo di fare ciò per mantenere "i loro..di privilegi". Il lenzuolo ora era corto, non ce la fece più "a coprire tutti". La situazione si avvitò precipitando verso il "baratro". Per evitare che ci affondassimo e che creassimo "guai ulteriori", i massimi sistemi "dei quali siamo parte", hanno per ora "osservato da vicino", chiedendo a noi di fare i famosi "compiti a casa". Ora per riprenderci la loro completa "stima" è neccessario completare l'opera richiesta appunto "la restaurazione".

Qui non c'è posto per "sognatori o utopisti", solo "pragmatismo". Noi che ormai siamo "vecchi un pò balordi" ed i giovani "di belle speranze", diamoci tutti una bella regolata, galleggiare nel grigiore "sarà già...un lusso".

sabato 13 aprile 2013

Suzanne Valadon, musa, amante e pittrice

Suzanne era bella, bellissima. Ovale perfetto, occhi blu come la porcellana di Se' vres, pelle madreperlata, statura media, proporzioni invidiabili. Sprigionava un fascino autentico, misto di giovinezza e sensualita' popolana che non poteva lasciare insensibili i parigini di quell' ultimo scatto di secolo. Provocante e anticonformista, avvolgeva la propria origine nel mistero: non si sapeva da dove fosse sbucata, cosa avesse fatto, funambola o cavallerizza al Circo Fernando, fioraia sul mercato di Pigalle. A 15 anni intraprese il ruolo "passivo" che l' uomo ha sempre di buon grado consentito alla donna nell' universo dell' arte: musa ideale, modella abituale, compagna di letto. Suzanne ebbe successo e fu contesa dagli artisti.
In molti la vollero: Toulouse Lautrec che le regalo' il nome un po' per scherno di "Susanna e i vecchioni". Con Renoir fu un legame spregiudicato: oltre che nuda nelle "Bagnanti", la immortalo' mentre ballava con il pittore Lothe in "La danza in citta' ", fasciata in un elegantissimo abito da sera, con la grazia d' una debuttante in societa' .
A 18 anni Marie Suzanne si trovo' madre d' un bimbo di padre incerto; nel ' 91 il volonteroso Miguel Utrillo y Molius riconobbe il figlio e gli diede un nome che diverra' celebre: Maurice Utrillo. La vita di Suzanne sembra un romanzo di Zola mescolato a Flaubert; procede fino a 73 anni, con entusiasmo fino all' ultimo respiro. Nel 1909, a 45 anni, incontro' un amico dell' adorato figlio Maurice, il ventitreenne pittore Andre' Utter. Scoppio' un amore struggente, con divorzio dal marito. Suzanne trovo' allora il coraggio di affrontare le grandi tele: i nudi femminili racchiusi in spessi contorni, talora allungati sopra divani. Poi, lui, l' amato bene, un uomo per la prima volta dipinto da una donna come oggetto di desiderio e seduzione nel gioioso "Adamo ed Eva". E ancora, bellissimo, in tre pose, con i possenti muscoli nel "Lancio della rete da pesca".



Per i nudi sceglie la sua cameriera, la portiera: c' e' un' affettuosa partecipazione, una solidarieta' con chi posa. Abitava vicino al Bateau Lavoir, dove giravano Picasso, Braque e altri, ma non la incuriosi' la pittura "cerebrale", lei solo istinto. Con Utter, ormai sposati, la vita si fece aspra, lui parti' per la guerra e torno' ferito. Ricomposero il "trio infernale", con Utter e il figlio Maurice, vittime dell' alcol. Lei espose nel ' 32 alla Galleria Georges Petit, con modesto successo; per il figlio vennero la gloria e il misticismo. Nel 1934, Suzanne si infiamma "d' amicizia" per il pittore Gazi. Sono di quel momento i vasi di fiori, le nature morte affastellate. Il capolavoro, disarmante, e' l' ultimo autoritratto: a 66 anni si dipinge col seno nudo cascante, gli occhi blu opachi, i lineamenti sfatti. Coraggiosa sino alla fine, lei che, come la Nana di Zola, aveva fatto impazzire Parigi per la sua avvenenza. Muore nel ' 38 a Montmartre: con Utter vicino, Utrillo lontano, perche' troppo sconvolto per correre da lei.

lunedì 1 aprile 2013

LUCREZIA E LA FINE DEI TARQUINI

Una volta in una pausa dell'assedio di Ardea, mentre stavano bevendo nella tenda di Sesto Tarquinio figlio del re Tarquinio detto il Superbo, e partecipava al banchetto anche
Collatino figlio di Egerio, il discorso cadde sulle mogli e ciascuno celebrava la sua con le maggiori lodi. Essendosi accesa la discussione, Collatino disse che le parole erano vane: in poche ore potevano rendersi conto di quanto la sua Lucrezia fosse superiore alle altre. "Siamo giovani e vigorosi: perchè non montiamo a cavallo e non andiamo a constatare coi nostri occhi la virtù delle nostre donne? La miglior prova per tutti sarà lo spettacolo che ci offriranno mentre non si aspettano l'arrivo del marito". Riscaldati dal vino tutti gridano: "Benissimo, andiamo", e spronati i cavalli volano a Roma. Giunti qua al calar delle tenebre, si dirigono successivamente a Collazia, dove trovano Lucrezia non trascorrere il tempo in banchetti e divertimenti con le compagne, come avevano visto fare le nuore del re, ma a notte inoltrata intenta a filare la lana, seduta in mezzo alla casa tra le ancelle veglianti al lume di una lucerna. La palma di quella gara femminile toccò a Lucrezia.  Essa accoglie benevolmente il marito che giunge in casa e i Tarquini, e Collatino vincitore invita cortesemente i figli del re a trattenersi.

Alcuni giorni dopo Sesto Tarquinio all'insaputa di Collatino si reca a Collazia con un solo uomo di scorta. Quivi accolto benevolmente da quelli di casa, ignari del suo proposito, dopo la cena fu condotto nella stanza degli ospiti; quando, acceso dal desiderio, gli parve che tutto fosse tranquillo all'intorno e la casa fosse immersa nel sonno, impugnata la spada entrò dove Lucrezia dormiva, e con la sinistra ferma sul petto della donna disse:"Taci, Lucrezia: sono Sesto Tarquinio; ho in mano la spada: se mandi un grido sei morta".  Mentre la donna sorpresa nel sonno e impaurita non scorge aiuto in alcuna parte, ma solo la morte starle sul capo, Tarquinio le dichiara il suo amore, la supplica, unisce alle preghiere le minacce, con ogni mezzo tenta l'animo della donna.
Quando la vede ostinata non piegarsi neppure dinanzi alla minaccia di morte, aggiunge alla paura il disonore: dice che metterà vicino al suo cadavere uno schiavo nudo sgozzato, perchè la credano uccisa in vergognoso adulterio. Vinta con questa minaccia
l'ostinata pudicizia, la libidine è in apparenza vincitrice, e Tarquinio se ne partirà fiero di aver espugnato l'onore di una donna considerata fino allora un esempio. Lucrezia dolente per tanta sventura manda un messaggero a Roma presso il padre e poi ad Ardea dal marito, pregandoli di venire coll'amico più fido: la cosa è necessaria e urgente perchè è capitata un'orribile sciagura.  Spurio Lucrezio va accompagnato da Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino da Lucio Giunio Bruto, col quale per caso si trova mentre recandosi a Roma si imbatte nel messaggero della moglie. Trovano Lucrezia seduta mesta nella sua stanza. All'arrivo dei suoi cari le spuntano le lacrime, e alla domanda del marito "Va tutto bene?" ."No", risponde;"qual bene infatti rimane ad una donna quando sia perduto l'onore ? Nel tuo letto, o Collatino, vi sono le impronte di un altro uomo; però solo il corpo è stato violato, l'animo è innocente: la morte mia ne sarà la prova. Ma datemi la mano e la parola che l'adultero non resterà impunito.  E Sesto Tarquinio, che da ospite divenuto nemico la notte scorsa con la violenza e con le armi ha colto qui un piacere esiziale per me, ma anche per lui, se voi siete uomini". Tutti uno dopo l'altro danno la loro parola, e cercano di consolare l'afflitta riversando ogni colpa da lei costretta sull'autore del misfatto: solo l'anima può peccare, non il corpo, e la colpa manca dove sia mancata la volontà. "A voi", Lucrezia esclama, "spetterà il giudicare qual pena a colui sia dovuta; quanto a me, se anche mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena: nessuna donna in futuro vivrà disonorata seguendo l'esempio di Lucrezia".

Con mossa repentina si infila nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste, e abbattutasi morente sulla ferita cadde al suolo.  Il marito e il padre levano alte grida.Mentre quelli si abbandonano al dolore, Bruto
estratto dalla ferita di Lucrezia il coltello grondante sangue e tenendolo davanti a sé dice:"Per questo sangue, castissimo prima del regio oltraggio, giuro e invoco voi a testimoni, o déi, che caccerò col ferro, col fuoco, e con qualunque altro mezzo mi sia possibile Lucio Tarquinio Superbo, insieme alla scellerata consorte e a tutta la discendenza dei figli, né sopporterò che costoro od alcun altro regni in Roma ". Consegna poi il coltello a Collatino, e successivamente a Lucrezio e a Valerio, stupefatti per quel miracolo, che si chiedevano donde mai nascesse quel nuovo animo nel petto di Bruto. Giurano come loro era stato prescritto, e dal dolore passati interamente all'ira seguono la guida di Bruto che già li invita a dar l'assalto al regno. Con questi argomenti, e, credo, con altri anche più forti, che l'indignazione del momento suggeriva, ma che non è facile agli storici tramandare esattamente,  Bruto infiammò la folla, e la indusse a privare il re del potere e così fu...



domenica 24 marzo 2013

QUANDO PENSAI DI VENDERMI I BEATLES

Di Brian Epstein Manager della famosa Band da il Giornale del 20/3/2013

«Guardami negli occhi», rispose il giornalista, «e ripeti: non venderò mai i Beatles». Ancora una volta distolsi lo sguardo e non diedi alcuna risposta. Mi sentivo terribile. Non avrei mai creduto, sei mesi prima, che sarebbe giunto il momento in cui avrei potuto nutrire il minimo dubbio sul mio futuro con i Beatles o, se è per questo, con nessuno dei miei artisti.
Ma la verità era che, proprio quella settimana, stavo per decidere se rimanere nel business come unico direttore di tutte le persone giovani e meravigliose che mi avevano cambiato la vita. Mi era stata fatta una difficile e genuina offerta di 150mila sterline in contanti, solamente per quel giorno, per una quota sui Beatles. Tre giorni dopo, in un ristorante di Londra, cenavo con l'uomo che mi aveva fatto l'offerta.
L'offerta interessava per il 50 per cento tutti i miei artisti e la mia società di gestione, per darmi la plusvalenza di 150mila sterline e per permettermi l'ultima parola sul tipo di lavoro fatto dai Beatles e alleviare lo stress; ma il mio potere, come risultato, sarebbe rimasto limitato. Anche se non la trovavo molto interessante, questa offerta avrebbe messo fine a molte preoccupazioni e tensioni.
Risposi al mio influente interlocutore: «Ho bisogno di tempo. Conosci le opinioni che ho avuto finora, ma c'è una cosa che devo fare. Devo parlarne ai Beatles».
Costruii nella mia mente un piano completo. Avrei venduto i Beatles e tutti i miei artisti eccetto uno, che avrei mantenuto sotto un'unica direzione. Degli altri artisti sarei diventato manager personale e l'agenzia con la quale avrei concluso l'affare si sarebbe fatta carico di tutti i mal di testa e di una grande quantità di reddito.
Ma prima di tutto dovevo vedere i Beatles. Li incontrai nel mio appartamento e dissi loro: «Come vi sentireste se qualcuno prendesse il mio posto?», e George, senza alzare lo sguardo, mormorò: «Stai scherzando». «Non sono mai stato più serio in vita mia», dissi, e Ringo disse a sua volta: «Dillo di nuovo». Così ripetei: «Come vi sentireste? È un'agenzia molto valida». John, il Beatle letterato, disse poi: «Rimarremo col culo per terra». Paul disse qualcosa di diverso, addirittura meno educatamente, così aggiunsi: «Non mi sembrate molto entusiasti». Tutti loro mi guardarono come se fossi pazzo. Dissi: «Dovete saperlo. Non sono sicuro di poter fare per voi tutto ciò che dovrei. L'organizzazione sta diventando molto grande e la pressione è troppa. Altrove potreste essere anche migliori».
I Beatles erano senza parole. Non avevano mai immaginato alcuna spaccatura nel nostro rapporto e gli spiegai, nel modo più persuasivo possibile, come ciò sarebbe potuto rientrare nei loro interessi, anche se più parlavo e meno convincevo me stesso. Alla fine mi fermai e dissi: «Allora?». E Paul disse: «Vendici e molleremo tutto. Abbandoneremo tutto domani».

sabato 9 marzo 2013

UN MERCANTE DI SUCCESSO EFFIMERO

Fino a tutti gli anni Ottanta del XIX secolo (circa trent' anni prima della bohème disperata di Modigliani e di Picasso) Parigi non era avara con gli artisti: per arricchirsi non servivano idee e tanto meno rivoluzioni stilistiche. Bastava possedere una gran tecnica, riuscire a fare ritratti somiglianti al modello ed essere virtuosi della pittura di «genere», ovvero dell' aneddoto. Si vendevano bene scene di allegre pastorelle, feste di paese, salotti popolati da damine in abiti settecenteschi impegnate a conversare con cavalieri in parrucca e scarpe di seta, oppure, scene di ameni giardini dove si intrecciavano storie d' amore. Adolphe Goupil (1806-1893), commerciante di stampe e quadri, editore di splendidi cataloghi d' arte e della prestigiosa rivista mensile Les Arts, ma anche capitano d' industria e cavaliere della Legion d' Onore. Aveva fondato la sua Maison nel boulevard Montmartre 12, inizialmente «per il commercio e l' edizione di incisioni e litografie» tratte da capolavori dell' arte antica. Ma aveva ben presto allargato l' attività alla riproduzione in copie o riduzioni a stampa delle opere contemporanee e alla vendita degli originali stessi finendo per aprire un prestigioso negozio con molte vetrine di fronte all' Opéra. Dopo seguirono succursali a Londra, Berlino, New York, L' Aia (dove lavorava lo zio di Van Gogh) e in numerose altre città fino a Melbourne e Johannesburg.
«I borghesi ricchi ritrovavano se stessi in quelle opere - scriveva il pittore e critico Francesco Netti nel 1877 -: vedevan le stesse stoffe che avevano addosso, i tappeti che avevano a casa, il lusso nel quale vivevano, e poi scarpe di raso, mani bianche, braccia nude, piccoli piedi, teste graziose. Quelle figure dipinte stavano in ozio tali e quali come loro. Al più guardavano un oggetto, o si soffiavano con un ventaglio. Le più occupate facevano un po' di musica, o leggevano un romanzo. Era il loro ritratto, anzi la loro apoteosi». Il conto finale, però, fu alto: questo gruppo di pittori, collezionisti e mercanti à la mode, mantenne una posizione a margine del più grande movimento contemporaneo: quello dell' Impressionismo coltivato invece dal mercante Paul Durand-Ruel. Il prezzo fu l' oblio della pittura chic, pagato per oltre un secolo dai nostri italiani a Parigi. Nemmeno a Goupil andò meglio: l' espressione «stile Goupil» è stata a lungo sinonimo di cattivo gusto, una definizione con cui furono bollate in senso spregiativo tutte le opere che egli aveva privilegiato.