Questi anni devastanti che avevano distrutto un tessuto economico che veniva da lontano e che si era stratificato nel tempo. I primi sintomi di quel cambiamento si erano avvertiti con l'evento che noi avevamo indicato come liberatorio. La caduta di quel muro ci aveva fatti sentire di nuovo tutti fratelli "ora non ci saranno più figli e figliastri, ci abbracceremo sotto un unico cielo", gridavamo passando sotto quella porta che ci aveva separati.
Ben presto con la nostra gioventù perdemmo pure quella speranza, prima guerre fratricide a due passi da casa nostra combattute nel nome di odi atavici risvegliati prontamente con l'avvento di quell'anelito. Ci distraemmo per consolarci con l'ecologia "il pianeta è soffocato dai veleni generati dal consumo smodato degli idrocarburi, bisogna invertire il trend con una economia green". Ma l'andazzo non cambiò o meglio si deteriorò ulteriormente, i politici ora mescolavano sempre più il loro "particulare", con l'attività pubblica. Mentre l'economia risultava sempre più drogata dalla finanza "dei derivati", la sintomatologia si trasformò in malattia, scoppiò la bolla ed il sistema reale ne fu totalmente coinvolto. Noi eravamo prossimi ormai alla quiescenza, pensavamo ormai di goderci ciò che "ci restava". Rimanemmo nel guado, eravamo sicuri di poter raggiungere "l'altra riva", attraverso la "solidarietà del sistema". Ma la risposta del "Wefare state", non fu affatto quella che ci aspettavamo "voi siete una sorta di tappo, ostruite l'inserimento dei giovani". Sulle prime fingemmo di "non sentire", ma quando ci colpirono "tagliandoci qualche privilegio", facemmo "girotondi" e li accusammo di fare ciò per mantenere "i loro..di privilegi". Il lenzuolo ora era corto, non ce la fece più "a coprire tutti". La situazione si avvitò precipitando verso il "baratro". Per evitare che ci affondassimo e che creassimo "guai ulteriori", i massimi sistemi "dei quali siamo parte", hanno per ora "osservato da vicino", chiedendo a noi di fare i famosi "compiti a casa". Ora per riprenderci la loro completa "stima" è neccessario completare l'opera richiesta appunto "la restaurazione".
Qui non c'è posto per "sognatori o utopisti", solo "pragmatismo". Noi che ormai siamo "vecchi un pò balordi" ed i giovani "di belle speranze", diamoci tutti una bella regolata, galleggiare nel grigiore "sarà già...un lusso".
domenica 28 aprile 2013
sabato 13 aprile 2013
Suzanne Valadon, musa, amante e pittrice
Suzanne era bella, bellissima. Ovale perfetto, occhi blu come la porcellana di Se' vres, pelle madreperlata, statura media, proporzioni invidiabili. Sprigionava un fascino autentico, misto di giovinezza e sensualita' popolana che non poteva lasciare insensibili i parigini di quell' ultimo scatto di secolo. Provocante e anticonformista, avvolgeva la propria origine nel mistero: non si sapeva da dove fosse sbucata, cosa avesse fatto, funambola o cavallerizza al Circo Fernando, fioraia sul mercato di Pigalle. A 15 anni intraprese il ruolo "passivo" che l' uomo ha sempre di buon grado consentito alla donna nell' universo dell' arte: musa ideale, modella abituale, compagna di letto. Suzanne ebbe successo e fu contesa dagli artisti.
In molti la vollero: Toulouse Lautrec che le regalo' il nome un po' per scherno di "Susanna e i vecchioni". Con Renoir fu un legame spregiudicato: oltre che nuda nelle "Bagnanti", la immortalo' mentre ballava con il pittore Lothe in "La danza in citta' ", fasciata in un elegantissimo abito da sera, con la grazia d' una debuttante in societa' .
A 18 anni Marie Suzanne si trovo' madre d' un bimbo di padre incerto; nel ' 91 il volonteroso Miguel Utrillo y Molius riconobbe il figlio e gli diede un nome che diverra' celebre: Maurice Utrillo. La vita di Suzanne sembra un romanzo di Zola mescolato a Flaubert; procede fino a 73 anni, con entusiasmo fino all' ultimo respiro. Nel 1909, a 45 anni, incontro' un amico dell' adorato figlio Maurice, il ventitreenne pittore Andre' Utter. Scoppio' un amore struggente, con divorzio dal marito. Suzanne trovo' allora il coraggio di affrontare le grandi tele: i nudi femminili racchiusi in spessi contorni, talora allungati sopra divani. Poi, lui, l' amato bene, un uomo per la prima volta dipinto da una donna come oggetto di desiderio e seduzione nel gioioso "Adamo ed Eva". E ancora, bellissimo, in tre pose, con i possenti muscoli nel "Lancio della rete da pesca".
Per i nudi sceglie la sua cameriera, la portiera: c' e' un' affettuosa partecipazione, una solidarieta' con chi posa. Abitava vicino al Bateau Lavoir, dove giravano Picasso, Braque e altri, ma non la incuriosi' la pittura "cerebrale", lei solo istinto. Con Utter, ormai sposati, la vita si fece aspra, lui parti' per la guerra e torno' ferito. Ricomposero il "trio infernale", con Utter e il figlio Maurice, vittime dell' alcol. Lei espose nel ' 32 alla Galleria Georges Petit, con modesto successo; per il figlio vennero la gloria e il misticismo. Nel 1934, Suzanne si infiamma "d' amicizia" per il pittore Gazi. Sono di quel momento i vasi di fiori, le nature morte affastellate. Il capolavoro, disarmante, e' l' ultimo autoritratto: a 66 anni si dipinge col seno nudo cascante, gli occhi blu opachi, i lineamenti sfatti. Coraggiosa sino alla fine, lei che, come la Nana di Zola, aveva fatto impazzire Parigi per la sua avvenenza. Muore nel ' 38 a Montmartre: con Utter vicino, Utrillo lontano, perche' troppo sconvolto per correre da lei.
In molti la vollero: Toulouse Lautrec che le regalo' il nome un po' per scherno di "Susanna e i vecchioni". Con Renoir fu un legame spregiudicato: oltre che nuda nelle "Bagnanti", la immortalo' mentre ballava con il pittore Lothe in "La danza in citta' ", fasciata in un elegantissimo abito da sera, con la grazia d' una debuttante in societa' .
A 18 anni Marie Suzanne si trovo' madre d' un bimbo di padre incerto; nel ' 91 il volonteroso Miguel Utrillo y Molius riconobbe il figlio e gli diede un nome che diverra' celebre: Maurice Utrillo. La vita di Suzanne sembra un romanzo di Zola mescolato a Flaubert; procede fino a 73 anni, con entusiasmo fino all' ultimo respiro. Nel 1909, a 45 anni, incontro' un amico dell' adorato figlio Maurice, il ventitreenne pittore Andre' Utter. Scoppio' un amore struggente, con divorzio dal marito. Suzanne trovo' allora il coraggio di affrontare le grandi tele: i nudi femminili racchiusi in spessi contorni, talora allungati sopra divani. Poi, lui, l' amato bene, un uomo per la prima volta dipinto da una donna come oggetto di desiderio e seduzione nel gioioso "Adamo ed Eva". E ancora, bellissimo, in tre pose, con i possenti muscoli nel "Lancio della rete da pesca".
lunedì 1 aprile 2013
LUCREZIA E LA FINE DEI TARQUINI
Una volta in una pausa dell'assedio di Ardea, mentre stavano bevendo nella tenda di Sesto Tarquinio figlio del re Tarquinio detto il Superbo, e partecipava al banchetto anche
Collatino figlio di Egerio, il discorso cadde sulle mogli e ciascuno celebrava la sua con le maggiori lodi. Essendosi accesa la discussione, Collatino disse che le parole erano vane: in poche ore potevano rendersi conto di quanto la sua Lucrezia fosse superiore alle altre. "Siamo giovani e vigorosi: perchè non montiamo a cavallo e non andiamo a constatare coi nostri occhi la virtù delle nostre donne? La miglior prova per tutti sarà lo spettacolo che ci offriranno mentre non si aspettano l'arrivo del marito". Riscaldati dal vino tutti gridano: "Benissimo, andiamo", e spronati i cavalli volano a Roma. Giunti qua al calar delle tenebre, si dirigono successivamente a Collazia, dove trovano Lucrezia non trascorrere il tempo in banchetti e divertimenti con le compagne, come avevano visto fare le nuore del re, ma a notte inoltrata intenta a filare la lana, seduta in mezzo alla casa tra le ancelle veglianti al lume di una lucerna. La palma di quella gara femminile toccò a Lucrezia. Essa accoglie benevolmente il marito che giunge in casa e i Tarquini, e Collatino vincitore invita cortesemente i figli del re a trattenersi.
Alcuni giorni dopo Sesto Tarquinio all'insaputa di Collatino si reca a Collazia con un solo uomo di scorta. Quivi accolto benevolmente da quelli di casa, ignari del suo proposito, dopo la cena fu condotto nella stanza degli ospiti; quando, acceso dal desiderio, gli parve che tutto fosse tranquillo all'intorno e la casa fosse immersa nel sonno, impugnata la spada entrò dove Lucrezia dormiva, e con la sinistra ferma sul petto della donna disse:"Taci, Lucrezia: sono Sesto Tarquinio; ho in mano la spada: se mandi un grido sei morta". Mentre la donna sorpresa nel sonno e impaurita non scorge aiuto in alcuna parte, ma solo la morte starle sul capo, Tarquinio le dichiara il suo amore, la supplica, unisce alle preghiere le minacce, con ogni mezzo tenta l'animo della donna.
Quando la vede ostinata non piegarsi neppure dinanzi alla minaccia di morte, aggiunge alla paura il disonore: dice che metterà vicino al suo cadavere uno schiavo nudo sgozzato, perchè la credano uccisa in vergognoso adulterio. Vinta con questa minaccia
l'ostinata pudicizia, la libidine è in apparenza vincitrice, e Tarquinio se ne partirà fiero di aver espugnato l'onore di una donna considerata fino allora un esempio. Lucrezia dolente per tanta sventura manda un messaggero a Roma presso il padre e poi ad Ardea dal marito, pregandoli di venire coll'amico più fido: la cosa è necessaria e urgente perchè è capitata un'orribile sciagura. Spurio Lucrezio va accompagnato da Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino da Lucio Giunio Bruto, col quale per caso si trova mentre recandosi a Roma si imbatte nel messaggero della moglie. Trovano Lucrezia seduta mesta nella sua stanza. All'arrivo dei suoi cari le spuntano le lacrime, e alla domanda del marito "Va tutto bene?" ."No", risponde;"qual bene infatti rimane ad una donna quando sia perduto l'onore ? Nel tuo letto, o Collatino, vi sono le impronte di un altro uomo; però solo il corpo è stato violato, l'animo è innocente: la morte mia ne sarà la prova. Ma datemi la mano e la parola che l'adultero non resterà impunito. E Sesto Tarquinio, che da ospite divenuto nemico la notte scorsa con la violenza e con le armi ha colto qui un piacere esiziale per me, ma anche per lui, se voi siete uomini". Tutti uno dopo l'altro danno la loro parola, e cercano di consolare l'afflitta riversando ogni colpa da lei costretta sull'autore del misfatto: solo l'anima può peccare, non il corpo, e la colpa manca dove sia mancata la volontà. "A voi", Lucrezia esclama, "spetterà il giudicare qual pena a colui sia dovuta; quanto a me, se anche mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena: nessuna donna in futuro vivrà disonorata seguendo l'esempio di Lucrezia".
Con mossa repentina si infila nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste, e abbattutasi morente sulla ferita cadde al suolo. Il marito e il padre levano alte grida.Mentre quelli si abbandonano al dolore, Bruto
estratto dalla ferita di Lucrezia il coltello grondante sangue e tenendolo davanti a sé dice:"Per questo sangue, castissimo prima del regio oltraggio, giuro e invoco voi a testimoni, o déi, che caccerò col ferro, col fuoco, e con qualunque altro mezzo mi sia possibile Lucio Tarquinio Superbo, insieme alla scellerata consorte e a tutta la discendenza dei figli, né sopporterò che costoro od alcun altro regni in Roma ". Consegna poi il coltello a Collatino, e successivamente a Lucrezio e a Valerio, stupefatti per quel miracolo, che si chiedevano donde mai nascesse quel nuovo animo nel petto di Bruto. Giurano come loro era stato prescritto, e dal dolore passati interamente all'ira seguono la guida di Bruto che già li invita a dar l'assalto al regno. Con questi argomenti, e, credo, con altri anche più forti, che l'indignazione del momento suggeriva, ma che non è facile agli storici tramandare esattamente, Bruto infiammò la folla, e la indusse a privare il re del potere e così fu...
Collatino figlio di Egerio, il discorso cadde sulle mogli e ciascuno celebrava la sua con le maggiori lodi. Essendosi accesa la discussione, Collatino disse che le parole erano vane: in poche ore potevano rendersi conto di quanto la sua Lucrezia fosse superiore alle altre. "Siamo giovani e vigorosi: perchè non montiamo a cavallo e non andiamo a constatare coi nostri occhi la virtù delle nostre donne? La miglior prova per tutti sarà lo spettacolo che ci offriranno mentre non si aspettano l'arrivo del marito". Riscaldati dal vino tutti gridano: "Benissimo, andiamo", e spronati i cavalli volano a Roma. Giunti qua al calar delle tenebre, si dirigono successivamente a Collazia, dove trovano Lucrezia non trascorrere il tempo in banchetti e divertimenti con le compagne, come avevano visto fare le nuore del re, ma a notte inoltrata intenta a filare la lana, seduta in mezzo alla casa tra le ancelle veglianti al lume di una lucerna. La palma di quella gara femminile toccò a Lucrezia. Essa accoglie benevolmente il marito che giunge in casa e i Tarquini, e Collatino vincitore invita cortesemente i figli del re a trattenersi.
Alcuni giorni dopo Sesto Tarquinio all'insaputa di Collatino si reca a Collazia con un solo uomo di scorta. Quivi accolto benevolmente da quelli di casa, ignari del suo proposito, dopo la cena fu condotto nella stanza degli ospiti; quando, acceso dal desiderio, gli parve che tutto fosse tranquillo all'intorno e la casa fosse immersa nel sonno, impugnata la spada entrò dove Lucrezia dormiva, e con la sinistra ferma sul petto della donna disse:"Taci, Lucrezia: sono Sesto Tarquinio; ho in mano la spada: se mandi un grido sei morta". Mentre la donna sorpresa nel sonno e impaurita non scorge aiuto in alcuna parte, ma solo la morte starle sul capo, Tarquinio le dichiara il suo amore, la supplica, unisce alle preghiere le minacce, con ogni mezzo tenta l'animo della donna.
Quando la vede ostinata non piegarsi neppure dinanzi alla minaccia di morte, aggiunge alla paura il disonore: dice che metterà vicino al suo cadavere uno schiavo nudo sgozzato, perchè la credano uccisa in vergognoso adulterio. Vinta con questa minaccia
l'ostinata pudicizia, la libidine è in apparenza vincitrice, e Tarquinio se ne partirà fiero di aver espugnato l'onore di una donna considerata fino allora un esempio. Lucrezia dolente per tanta sventura manda un messaggero a Roma presso il padre e poi ad Ardea dal marito, pregandoli di venire coll'amico più fido: la cosa è necessaria e urgente perchè è capitata un'orribile sciagura. Spurio Lucrezio va accompagnato da Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino da Lucio Giunio Bruto, col quale per caso si trova mentre recandosi a Roma si imbatte nel messaggero della moglie. Trovano Lucrezia seduta mesta nella sua stanza. All'arrivo dei suoi cari le spuntano le lacrime, e alla domanda del marito "Va tutto bene?" ."No", risponde;"qual bene infatti rimane ad una donna quando sia perduto l'onore ? Nel tuo letto, o Collatino, vi sono le impronte di un altro uomo; però solo il corpo è stato violato, l'animo è innocente: la morte mia ne sarà la prova. Ma datemi la mano e la parola che l'adultero non resterà impunito. E Sesto Tarquinio, che da ospite divenuto nemico la notte scorsa con la violenza e con le armi ha colto qui un piacere esiziale per me, ma anche per lui, se voi siete uomini". Tutti uno dopo l'altro danno la loro parola, e cercano di consolare l'afflitta riversando ogni colpa da lei costretta sull'autore del misfatto: solo l'anima può peccare, non il corpo, e la colpa manca dove sia mancata la volontà. "A voi", Lucrezia esclama, "spetterà il giudicare qual pena a colui sia dovuta; quanto a me, se anche mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena: nessuna donna in futuro vivrà disonorata seguendo l'esempio di Lucrezia".
Con mossa repentina si infila nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste, e abbattutasi morente sulla ferita cadde al suolo. Il marito e il padre levano alte grida.Mentre quelli si abbandonano al dolore, Bruto
estratto dalla ferita di Lucrezia il coltello grondante sangue e tenendolo davanti a sé dice:"Per questo sangue, castissimo prima del regio oltraggio, giuro e invoco voi a testimoni, o déi, che caccerò col ferro, col fuoco, e con qualunque altro mezzo mi sia possibile Lucio Tarquinio Superbo, insieme alla scellerata consorte e a tutta la discendenza dei figli, né sopporterò che costoro od alcun altro regni in Roma ". Consegna poi il coltello a Collatino, e successivamente a Lucrezio e a Valerio, stupefatti per quel miracolo, che si chiedevano donde mai nascesse quel nuovo animo nel petto di Bruto. Giurano come loro era stato prescritto, e dal dolore passati interamente all'ira seguono la guida di Bruto che già li invita a dar l'assalto al regno. Con questi argomenti, e, credo, con altri anche più forti, che l'indignazione del momento suggeriva, ma che non è facile agli storici tramandare esattamente, Bruto infiammò la folla, e la indusse a privare il re del potere e così fu...
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