venerdì 22 agosto 2014

IL CASTELLO ED I MERCENARI: UNA STORIA CHE SI RADICA NEL PASSATO MA SOPRAVVIVE NEL PRESENTE

Mi è capitato recentemente di visitare il castello di Catajo, presso Battaglia Terme zona Colli Euganei in provincia di Padova. La maestosità del palazzo ancor oggi evidente e la sua storia recente, andrà all'asta ancora una volta nel prossimo mese di settembre, dopo che già due volte le aste sono andate deserte per mancanza di compratori. Chissà magari sarà la volta buona, dagli undici milioni di due anni fa ora la base d'asta scenderà a cinque milioni. Solo il ciclo di affreschi del cinquecento che adornano le stanze di rappresentanza a mio modo di vedere e pensare valgono l'ultimo prezzo fissato. Ma si sa oggi mancano "gli Sghei", come commentava qualcuno l'altra sera e qualunque prezzo sembra molto alto, perchè il problema oggi è mantenerlo quel castello. La famiglia che lo possiede se ne vuole disfare costi quel che costi, perchè non ce la fanno più per le manutenzioni di cui abbisogna e le tasse fondiarie che lo colpiscono.

Fatta questa premessa, la mia riflessione vuole però centrare anche il focus su un' altro aspetto che ha acceso la mia fantasia in seguito alla visita del castello, perchè si lega anch'essa ad un tema di grande attualità segno di questo nostro tempo assai travagliato. Il tema è "la guerra per conto terzi" e cercherò di rifarmi alla storia della famiglia che ha costruito e abitato questo bel palazzo perchè oggi " la storia si ripete". Quanto succede oggi sia in Est Europa che in buona parte del Medio Oriente (Siria e Iraq) dove non sono i protagonisti reali a fronteggiarsi direttamente. Piuttosto si tende a fornire armi e finanziare forze locali contrapposte che agiscono appunto per conto di altri. Tutto ciò naturalmente era già successo nel passato. L'allegoria della famiglia Obizzi è a mio modo di vedere emblematica in proposito, loro originari della Borgogna arrivarono in Italia attorno al 1000, al seguito dell'imperatore Enrico II. Il Capostipite della famiglia fu Obicio I come attesta ancora oggi l'albero genealogico della famiglia dipinto nella sala d'ingresso del palazzo. Lui era un grande capitano di ventura ed ottenne al seguito dell'imperatore i primi grandi successi strappando grandi bottini nelle scorrerie. Si stabilirono in un primo tempo in terra Lucchese. Poi dopo alterne vicende vissute in terra toscana, fu attorno al quattrocento che il ramo principale della famiglia si stabilì nel Padovano, al servizio della Serenissima. Molte erano già le richezze da loro accumulate attraverso i servizi svolti per conto di diversi signori della penisola che in quel tempo si combattevano tra loro. Poi il caso volle che oltre alla professione di capitani di ventura, un fortunato matrimonio a consacrasse la famiglia Obizzi in territorio Veneto. Nel 1422 Antonio Obizzi sposò Negra De' Negri ultima discendente della richissima famiglia Padovana, ereditando numerossimi beni immobiliari sul territorio circostante. Ma attorno al 1570  la famiglia dopo aver collaborato in modo decisivo alla vittoria della Lega Santa nella Battaglia di Lepanto raggiunse il massimo splendore, sotto la guida di Pio Enea I. Lui si dilettava nel tempo libero alla caccia, perciò sul quel terreno tra i colli decise di ampliare quel casolare trasformandolo in un favoloso castello. Ingaggiò Gianbattista Zelotti allievo e collaboratore del Veronese per il ciclo di affreschi che celebrarono la famiglia dalle origini al momento della costruzione del maniero.

Già questa è la vicenda che arriva fino ai giorni nostri. Dopo l'estinzione della famiglia il castello passò agli Asburgo che continuarono a usarlo come residenza estiva e tenuta di caccia. Poi nel 1929 la famiglia Dellafrancesca ne divenne ultima proprietaria fino ad oggi e come già detto non hanno più i mezzi per mantenere il Castello con le sue 400 stanze ed i terreni circostanti. Chissà che succederà domani, magari nuovi mecenati o mercenari si faranno avanti?


mercoledì 13 agosto 2014

LA NASCITA DI VENERE

Arrivo di corsa sudatissimo ai cancelli di Villa Careggi. Il portinaio mi apre con sufficienza, indicandomi con l'indice della mano libera, dove sono riuniti da un bel po'. La strada io la conosco molto bene, frequento l'accademia neoplatonica dal primo giorno.
Cosimo De' Medici la volle vent'anni fa, a Firenze doveva significare la riapertura dell'antica Accademia di Atene. Fu fin dall'inizio il luogo di incontro di uomini dediti alle materie piu' disparate. Il filo conduttore era la traduzione dal greco delle opere di Platone affidata a Marsilio Ficino. Cosimo il vecchio pretese ed impose la presenza dei nipoti Lorenzo e Giuliano in loro vedeva il futuro. Poi noi, da me a Pico della Mirandola, Agnolo Poliziano, Nicola Cusano, Leon Battista Alberti e tanti altri giovani di belle speranze.

Giungo poi in sala e come altre volte per non farmi notare piu' di tanto, le possenti colonne mi fanno da scudo e passando da l'una all'altra mi siedo in ultima fila. Finalmente mi rilasso un po'. Vengo da giorni infernali, ho dovuto lasciare Roma e il lavoro alla Cappella Sistina in tutta fretta per la triste notizia della scomparsa di mio padre. Gia' li avevo molte preoccupazioni, poi Il ciclo di affreschi era impegno troppo grosso e gravoso per un uomo solo e aiutanti validi là non ce n’erano. Non potevo certo chiudere bottega qui e chiamare Filippino ad aiutarmi. Io a Firenze dopo la morte di mio padre voglio restare. A Roma ero andato due anni fa. Assieme agli altri fiorentini, ad ognuno fu assegnato un compito preciso. Io dopo le insistenze di Papa Sisto, avevo firmato quel contratto che mi impegnava per realizzare tre affreschi nelle pareti della capella da poco costrtuita. Per fortuna pochi giorni fa li ho terminati, quando mi e' giunta la triste notizia della morte di mio padre. Ho potuto cosi' rientrare a Firenze ed ho deciso così che non tornerò  piu' a Roma. 
Rivivo le ultime vicende, come fossi in preda ad un sogno ad occhi aperti. Una mano improvvisamente mi batte sulla spalla sinistra. Mi giro è Agnolo Poliziano.
- Sandro come stai- mi sussurra.
- Ho incontrato stamani Filippino, mi ha informato che sei tornato giusto in tempo per sepellire tuo padre e che non intendi piu' ripartire per Roma.
- E' verissimo Agnolo la' ho rinunciato a a ricche prebende. Papa Sisto e' rimasto soddisfatto dei tre affreschi che ho fatto. Mi ha offerto di affrescare addirittura l'intero soffitto della nuova cappella detta in suo onore Sistina. A me girava la testa al solo pensiero. Per fortuna non ho accettato. Chiunque affrontera' quel lavoro immane credo ne uscira' stravolto.
Agnolo Poliziano mi ascolta in modo disciplinato, mentre io termino la filippica.
- Io Sandro son contentissimo che tu resti, lo sai che serbo per te ormai da anni il grande proggetto. Ora che sei tornato per restare nulla potra' fermarci.
- Ma Agnolo, io conservo gelosamente il manoscritto che come ben sai potrei citarne i versi a memoria, ma la fine prematura di Messer Giuliano ha cambiato di tanto le cose.
Gia' la congiura de' pazzi aveva posto fine in modo cruento alla vita di Giuliano de' Medici ed anche il ferimento di Lorenzo aveva cambiato completamente lo scenario cittadino. Agnolo aveva celebrato l'apoteosi di quel tempo felice con il suo poema in versi. Ma soprattutto aveva gloriato la figura di Giuliano ed aveva cantato il suo grande grande amore per Simonetta. Lei era la piu' bella fanciulla di Firenze in quel tempo per noi felice. Giovanissima si era maritata con Marco Vespucci. Lei era solo quindicenne, la sua famiglia i Cattaneo esponenti della buona societa' Genovese, era decaduta al pari della repubblica marinara. Poi negli anni precedenti in seguito al passaggio di Costantinopoli agli Ottomani, per loro fu un vero disastro. La' avevano lasciato richezze ed interessi. L'unica gemma rimasta era lei Simonetta e la volevano maritare con profitto. L'occasione si presento' quell'estate, la' sul mare nel golfo di La Spezia. In quel tramonto Marco pure lui molto giovane, osservo' prima quei boccoloni biondi, mossi dalla brezza fluttuavano in quella magica luce che precede il calare della sera. Poi lei si giro' ed apparve il suo magnifico viso di Venere terrena, lui rimase letteralmente fulminato.  Rampollo dei Vespucci, banchieri fiorentini in grande ascesa stretti collaboratori ed alleati alla corte De' Medici. Era stata abilmente organizzata  quella serata, dai Cattaneo. Tanta abilita' culmino' poi molto presto nel loro matrimonio e Simonetta si trasferi' a Firenze.
Qui Marco la introdusse a corte e la sua avvenenza, non tardo' a fare proseliti.  Fu un vero ciclone.


-          Tu stesso Sandro la dipingesti in quel drappo per la giostra che si tenne in Santa Croce. Scrivendoci persino "la senza paragoni".
- Mio caro Agnolo per non parlare di te che dopo la vittoria di Giuliano De' Medici nella giostra, decidesti di eternarla nel tuo poema. Ma poi le cose sono andate a rotoli lei morta di tisi l'anno dopo e lui assassinato in quella tragica congiura. Io me ne andai a Roma imprecando che sarei tornato solo morto e l'unico desiderio che serbavo era quello di essere sepolto ai piedi di lei.
- Ma ora sei tornato Sandro e sei vivo e vegeto. Lo sai anch'io ho sofferto. Ho interrotto la scrittura del poema dopo l'assassinio di Giuliano, ma ora si ripresenta per noi la grande occasione. Lorenzo di Pierdifrancesco De'Medici cugino del Magnifico, ha letto il manoscritto del mio poema. Si e' talmente entusiasmato dalla descrizione che ho fatto della mia Venere. Mi fara' presto pubblicare il poema tutto con la nuova stampa a caratteri mobili. Ma non solo Sandro, lui mi ha incaricato visto che era impossibilitato di essere oggi qui all'incontro di Villa Careggi, di consegnarti una missiva.
Io non ti anticipo nulla, ma ti prego di valutare la proposta con grande attenzione.
Prendo la lettera dalle mani di Agnolo e gli prometto che seguiro' il suo consiglio.
L'incontro accademico, volge al termine. Come di consueto dopo l'esposizione di Marsilio Ficino, prende la parola Lorenzo De' Medici. Lo vedo un po' stanco ed abbacchiato evidentemente i recenti eventi lo hanno segnato. Dopo le solite frasi di circostanza ed i convenevoli di rito. Annuncia che ha scritto un nuovo sonetto, dal significato molto lontano dai precedenti che celebravano gioventu' e bellezza. L' attacco e' emblematico dell’attuale suo stato d’animo.
- chi vuol esser lieto sia
del doman non v'e' certezza
quant'e' bella giovinezza 
che si fugge tuttavia...
Rientro finalmente a casa dopo essere passato in bottega, lì avrei voluto aprilrla quella lettera, ma Filippino mi ha fatto cambiare idea. A casa trovo almeno la cena pronta, per fortuna mamma non si scorda mai di me. Nonostante il fresco dolore patito per il babbo altre nubi si addensano ora su di me. Inzuppo la fetta di pane tra i fagioli all’uccelletto, quell’olio di frantoio l’ho sempre adorato fin da piccino e lei non l’ha dimenticato. Mentre faccio scarpetta, sono ancora sconvolto da quanto Filippino mi ha detto. Già lui il mio uomo di fiducia, ha deciso di lasciarmi dopo quasi tredici anni di collaborazione . Lui era il figlio del mio maestro Filippo Lippi. Avevo imparato da lui il mestiere, avevo visto crescere Filippino, lui fin dalla tenera età ci seguiva nei cantieri di Prato in cui lavoravamo allora. Poi la domenica, giorno del nostro riposo, io andavo a casa loro. Lì Lucrezia la bella moglie di Filippo, ci preparava di solito un ottimo pranzo a cui io partecipavo volentieri perché pur vicino non rientravo a Firenze. Erano una famiglia riservata a differenza di tante altre di loro non si sapeva quasi nulla. Finchè in una di quella domeniche,  ormai si fidavano ormai ciecamente di me, venni a conoscenza della loro storia.
-Devi sapere...................
                                                                                                   (Continua)